Presentato all’ultima edizione del Festival di Cannes, quello firmato dai fratelli Safdie è un film dalla rara energia visiva che rappresenta una svolta considerevole per la carriera di Robert Pattinson. In Good Time l’attore interpreta il personaggio di Connie Nikas, un malvivente che si cimenta in una corsa frenetica, per poter sovvertire le sorti del fratello Nick, interpretato da uno dei registi, Benny Safdie, affetto da disturbi dell’apprendimento.
Il film viene introdotto da un lungo prologo dove Nick è da un terapeuta, per poi essere subito coinvolto dal fratello in una rapina, che finisce nel peggiore dei modi. Ora Connie farà di tutto per poter liberare il fratello arrestato dalla polizia, e da qui inizia la sua estenuante corsa. Già cimentati nella tematica gangster con il film The Pleasure of Being Robbed nel 2008, i Safdie raccontano la loro personale storia di fratellanza, e i ritratti dei Nikas si accodano a quelli più iconici del cinema visti finora. Tutti i protagonisti di Good Time si muovono come ratti in una New York psichedelica e perlopiù caratterizzata da luci a neon dai colori sgargianti e fluorescenti, complice la magnifica fotografia di Sean Price Williams, recentemente apprezzato in Queen of Earth di Alex Ross Perry; sono lampi e guizzi che si confondono nel panorama urbano e hanno fatto della mimetizzazione la loro unica abilità per la sopravvivenza. “Con Good Time, abbiamo spostato la nostra attenzione su questi americani dimenticati, sui diversi e su come il presente sia strettamente legato alla trama e alla storia“, spiegano i registi, ma i Nikas sognano di emergere dalla loro realtà, mirano alla redenzione lottando controcorrente, ed è solo alla fine che comprendono di non poter far altro che lasciarsi andare all’inerzia.
Indubbiamente vittime dell’influenza dell’imponente cinema di Nicolas Winding Refn, molti i punti i comune tra questo titolo e il celebre Drive (comprese le musiche di stampo elettronico realizzate da Daniel Lopatin), i Safdie realizzano un thriller dalle tinte pulp, sfrenato e malinconico. Epicentro del racconto è la performance sorprendente di Robert Pattinson, scrollatosi ormai di dosso il fardello di idolo delle teenager, cambia sé stesso e il suo sguardo, in un ruolo di rara tenerezza e tenacia, ma al contempo spregiudicato. Ricambia lo sguardo allo spettatore, e nell’ultimo frame che lo riguarda, in un primissimo piano sul sedile posteriore dell’auto della polizia, possiamo leggere nel suo sguardo l’amarissima resa e lo spegnimento di quell’elettricità nelle sue pupille, che lo ha accompagnato nel corso della sua incessante fuga dal suo futuro. Molteplici i personaggi incontrati lungo il suo cammino, dalla fidanzata Corey, una donna attempata che vive ancora alle dipendenze della madre, interpretata da una fastidiosa Jennifer Jason Leigh, a Ray, l’uomo che per sbaglio scambia con il fratello ricoverato in ospedale a seguito di un pestaggio in prigione, in qualche modo specchio di sé stesso che lo porta a un cocente confronto, nonché al disfacimento di ogni suo piano.
Ma è Benny Safdie, che interpreta Nick, colui a cui viene affidata la sequenza finale che accompagna i titoli di coda del film; lo psichiatra Peter, lo conduce a una seduta di gruppo rassicurandolo che si tratta del posto giusto per lui, come la prigione è il posto dove deve stare suo fratello, dove entrambi staranno bene e avranno il loro “good time”. Perché questo era il disperato traguardo a cui Connie mirava, come ogni reietto della New York invisibile, e nonostante il suo deficit Nick è consapevole del fatto che non sarà mai nel posto giusto, che per quelli come lui e suo fratello non ci sarà mai; e mentre la terapista mette alla prova il gruppo con il gioco del “chi l’ha fatto attraversi la stanza”, Nick vede passargli davanti ogni suo rimpianto sulle note struggenti di “The Pure and the Damned” di Oneohtrix Point Never, il puro e il dannato: Nick e Connie. Dopo una carica di adrenalina, averti abbagliato e intossicato, con il cuore ancora in gola, i Safdie ti danno un pugno allo stomaco, ed è impossibile restarne indifferente. Good Time è destinato a diventare in brevissimo tempo un cult del suo genere.
VOTO: 9/10