Glow – La recensione della seconda stagione della serie Netflix

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Di Gabriele La Spina

Quella tra Netflix e gli anni ’80 è una storia d’amore che si perpetua da ormai molto tempo, dalla nascita dell’influente servizio di streaming. Basti pensare a serie televisive come Stranger Things, fenomeno pop della piattaforma, e probabilmente suo più grande centro. Non vanta la stessa popolarità, ma probabilmente è artefice di storyline dal più alto spessore, la serie ideata da Liz Flahive e Carly Mensch, Glow, la cui patina comic trash può trarre in inganno lo spettatore casuale, che però dopo un’attenta visione ne scopre il forte messaggio.

Nella sua prima stagione, rilasciata lo scorso anno, vedevamo una giovane attrice cercare di sbancare il lunario, tra numerosi provini e una relazione clandestina, per poi trovare la sua vera famiglia dopo un annuncio per il più improbabile dei ruoli: quello di lottatrice per uno show di wrestling. Un presupposto in partenza strano quello di basare un’intera serie su un gruppo di lottatrici, il wrestling da sempre, dopotutto, è stato sempre considerato un anti-sport, e ben poche volte è stato rappresentato nel cinema, anche se vi sono casi eccezionali come lo struggente The Wrestler di Darren Aronofsky. La formula adottata da Flahive e Mensch non è però tanto dissimile da quella di Jenji Kohan, che lo scorso anno ha diretto il pilot, creatrice dell’amatissima Orange Is the New Black, serie stanca in confronto alla freschezza di Glow, dove le storie delle diverse protagoniste, per nulla volti e fisici perfetti come quelli della televisione di una qualunque Shonda Rhimes, ma con la battuta sempre pronta, si intrecciano, raccontando culture ed estrazioni differenti. Ne viene fuori il ritratto di un’America, ben lontana dalla terra delle tante possibilità che spesso ci veniva raccontata, e con poca sorpresa, fortemente maschilista. Se lo scorso anno abbiamo visto le nostre wrestler ricercare i propri personaggi, ma al contempo la loro stessa identità e il loro posto al mondo, in questa seconda stagione si alza la posta, e gli autori sono pronti a sperimentare sempre di più, neanche a dirlo, centrando pienamente l’obiettivo, regalandoci alcuni dei più bei episodi televisivi visti quest’anno.
Dopo aver trovato una rete dove andare in onda, lo show è a rischio, e le protagoniste cercano in tutti i modi di salvarlo, scatenando nuove dinamiche. Diverse le tematiche che emergono nel corso degli episodi, per la prima volta viene trattato il tema dell’omosessualità negli anni ’80, in più di un’occasione, dell’emersione della figura femminile in ruoli a lei non congeniali, secondo la struttura sociale americane del periodo, come quello di produttrice, e infine la tematiche delle molestie; su cui la stagione fa leva con diverse sfumature, ma ci si concentra maggiormente nell’episodio “Mother of All Matches”. Glow riesce ad alternare l’umorismo quasi demenziale e caricaturale del wrestling, a momenti di forte intensità emotiva, ritraendo il distacco, la solitudine e la malinconia dell’essere incompresi, nelle vite di questo gruppo di outside; madri, figlie e mogli, stufe di rimane relegate a un ruolo a loro assegnato. Perché e proprio questo in fine dei conti l’obiettivo di Glow, scardinare il ruoli legati a un determinato gender, per superare le imposizioni altrui.
Glow, nominata lo scorso anno agli Screen Actors Guild per il miglior cast, è la serie più nutrita di talenti femminili. A partire da Alison Brie, già apprezzata in Mad Men, Community e Bojack Horseman, vera mattatrice della serie; talento sottovalutatissimo dalla sorprendente versatilità, che sgomita con la comprimaria Betty Gilpin, toccante nei panni di Debbie Eagan e assolutamente geniale in quelli di Liberty Bell, probabilmente sorpresa della prossima stagione dei premi grazie a questa seconda stagione. Struggente la presenza di Kia Stevens, aka Welfare Queen, in bilico tra l’approvazione del figlio e il suo personaggio sul ring; e inaspettato lo sviluppo del personaggio di Chris Lowell, nei panni di Bash Howard alle prese con la scoperta dell’omosessualità del miglior amico. L’ottavo resta però il più delizioso, e lampante tra gli episodi di questa stagione. In “The Good Twin”,  assistiamo a una vera e propria puntata dello show di Glow, ormai prossimo alla cancellazione, dove le nostre protagoniste si prestano tra esilaranti sequenze musicali a grottesche scenette introduttive ai violenti match. Un vero colpo di classe in pieno stile anni ’80. 
Restiamo in attesa che Netflix rinnovi per una terza stagione la serie, dal fortissimo potenziale e che già è stata capace di dimostrare moltissimo in 20 episodi rilasciati finora, di soli 30 minuti l’uno. Glow è indubbiamente il prodotto più riuscito di Netflix, solidamente scritto e ben interpretato. E con la sua seconda stagione si è confermata come una serie necessaria per il nostro piccolo schermo. 

VOTO: 9.5/10


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