Bardo – La recensione della versione cinematografica del film Netflix di Inarritu

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Di Gabriele Maccauro

Sette anni dopo Revenant, torna al cinema Alejandro Gonzalez Inarritu, con il suo Bardo, la cronaca falsa di alcune verità, presentato in concorso alla 79° Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia.

Silverio, giornalista e documentarista messicano che vive ormai da anni a Los Angeles, torna in patria, dove dovrà ricevere un importante riconoscimento. Il film è stato a dir poco divisivo e molti si sono lamentati della sua eccessiva durata (quasi tre ore, ma ridotte a 159 minuti in quella che arriva al cinema e su Netflix), della rappresentazione che viene data del Messico, del suo rapporto con gli Stati Uniti e della maniera discutibile con cui Inarritu, attraverso il personaggio interpretato meravigliosamente da Daniel Giménez Cacho, riflette sulle sue due terre: da una parte la sua terra natìa, dall’altra quella che gli ha portato successo, premi e notorietà a livello internazionale. Critiche perlopiù legittime, ma che sembrano esser state prese in considerazione in un’ottica sbagliata.

Silverio non è nient’altro che Inarritu stesso e Bardo uno stream of consciousness, un tentativo da parte del regista nato a Città Del Messico di uscire dalla gabbia in cui si sente rinchiuso ed in cui si è andato, paradossalmente, a mettere proprio per via del suo talento e per il modo in cui tutti i suoi film, fin dagli albori, sono sempre stati estremamente apprezzati nei più prestigiosi festival del mondo. Festival, premi, successo: tutti elementi che lo fanno sentire non solo rinchiuso ma, forse, senza via di scampo. L’unica via di fuga l’unico modo per tornare se stessi è fermarsi dunque a riflettere (ben sette anni senza un suo film!) e dunque, quale modo migliore se non farlo attraverso ciò che gli ha dato tanto, tutto, ma che forse ora gli sta togliendo la voglia di fare? Da qui l’idea di Bardo.

Il film è lontano dall’essere esente da difetti ma criticarlo per il punto di vista che Inarritu ha riguardo alcune tematiche è sbagliato se ciò avviene all’interno di un non-film, una specie di auto biopic, di una riflessione di Inarritu, per Inarritu. Un film difficile da buttar giù, faticoso, ruvido, fatto poi per sé e non per lo spettatore che, anzi, forse viene a tratti anche criticato per dichiarazioni che fa e che alle volte lo feriscono, alle volte lo infastidiscono. Inarritu pecca forse per le parole che usa tanto che sembra voler dire a gran voce, “non riesco a spiegarvi ciò che provo, i miei dubbi e le mie paure e, se non riesco a comunicarlo fino in fondo con le parole, lo farò utilizzando un altro linguaggio, quello del cinema” (non dimentichiamoci infatti che il film ha delle sequenze a dir poco memorabili).

Inarritu è un uomo, nient’altro che un uomo. Niente di più. È un uomo ed in quanto tale sbaglia, è fallace. Allora, riprendendo il Jep Gambardella di sorrentiana memoria, “invece di farci la morale, di guardarci con antipatia dovremmo guardarci con affetto. Siamo tutti sull’orlo della disperazione”. Il film può piacere o meno ma una cosa è certa, va visto assolutamente. 

Bardo, la cronaca falsa di alcune verità arriva in sale selezionate a partire dal 16 novembre, dal 16 dicembre per tutti gli abbonati su Netflix.

VOTO: ★★★★


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