Di Simone Fabriziani
Perché vedere Run
Il regista di origine asiatica aveva già debuttato sul grande schermo con un thriller audace nel linguaggio cinematografico e nel racconto squisitamente “digital” con l’apprezzato Searching (2018); adesso, Chaganty abbandona gli schermi dello smartphone che facevano da cornice al racconto da perdifiato del suo film precedente per regalare agli spettatori un lungometraggio che omaggio con delizioso compiacimento l’opera di Stephen King. Il suo Run, con una sinistra ed azzeccata Sarah Paulson, è una rielaborazione pop e super-accessibile del celebre film cult degli anni ’90 Misery non deve morire di Rob Reiner, ispirato a sua volta dal best-seller pubblicato da Stephen King. Entrambe storie di reclusione e prigionia, di menzogne e di patologica diffidenza verso il mondo esterno. nel caso del thriller di Chaganty i paralleli con il cult di Reiner si fanno particolarmente apprezzare nel modo in cui omaggia l’adattamento di King tramite citazioni, inquadrature, contesti e scenografie.
Perché non vedere Run
Tuttavia la storia di prigionia, di inganni e di misteri casalinghi raccontata da Aneesh Chaganty non si smarca dal paragone che essa stessa crea. Le sinistre intenzioni di mamma Diane non vengono mai a galla del tutto, il rapporto tra la madre e la figlia costretta sulla sedia a rotelle (la giovane interprete Keira Allen) permane a tratti nell’ombra, non tutto sembra tornare o venire alla luce alla fine di Run, che quindi più che un thriller narrativamente quadrato e robusto è preferibile degustarlo come spensierato brivido sul grande schermo senza troppe pretese e tante suggestioni. Perfetto per questi giorni d’estate all’insegna di cinema disimpegnato ma efficace.
Nelle sale italiane a partire da giovedì 10 giugno con Universal Pictures e Lucky Red
VOTO: 6/10