Da Antonio Banderas nella serie su Picasso a Jonathan Pryce in quella su Papa Francesco: Il biopic neutralizza la creatività?

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Di Gabriele La Spina

C’è stato un tempo in cui agli Oscar era quasi il genere predominante, o meglio il genere chiave per arrivare alla vittoria della statuetta, tuttavia con il passare degli anni i film biografici, meglio denominati come biopic, hanno raggiunto una dimensione mainstream per la copiosa produzione da cui è derivata una qualità sempre più bassa, e sempre meno artistica. Se qualcuno ha detto che la recitazione non è “imitazione” bensì “creazione”, i biopic sono di fatto i perfetti compiti per casa di attori e registi, in alcuni casi l’impoverimento dell’arte cinematografica.

Non si parla di cinema però, trattando di due progetti annunciati oggi. Il primo legato a Netflix riguarda The Pope, che distantissimo dall’ottimo prodotto satirico di Sorrentino, racconterà la storia dell’attuale Papa in carica, Jorge Mario Bergoglio, interpretato dal somigliante Jonathan Pryce. Alla direzione Fernando Meirelles, mentre Anthony Hopkins sarà il Papa predecessore Joseph Aloisius Ratzinger [x]. L’altro riguarda invece la seconda stagione della serie antologica Genius, se la prima infatti ha avuto come protagonista Albert Einstein, interpretato dal mimetico Geoffrey Rush, la nuova stagione sarà incentrata su Pablo Picasso, i cui panni verranno vestiti da Antonio Banderas, e andrà in onda nell’autunno del 2018 su National Geographic [x]. 
E in un’era dove i migliori creativi hanno abbattuto la barriera tra televisione e cinema, sono progetti come questi forse che rimandano a quel passato di mancata inventiva, o meglio quel tradizionalismo usurato, dei produttori americani?
Nel corso degli ultimi anni sono stati diversi i biopic che abbiamo visto nelle sale, e solo in pochi si sono distinti. Basti pensare a pellicole come La teoria del tutto e The Iron Lady, che sono riuscite nell’intento di suscitare tale empatia nello spettatore, coronando con l’Oscar i suoi protagonisti, ma hanno confermato la povertà di un genere, dove l’attore mira all’imitazione sorretto da un estenuante sessione di trucco, e il regista si limita a raccontare i fatti, senza nessun’altra ambizione. Marilyn, Sully, Il discorso del re, The Blind Side, Ray; forse avrete amato i suoi personaggi ma dov’era la creatività in questi racconti? Pellicole come queste vengono spesso definite “film da Lifetime”, ovvero per il canale americano caratterizzato dalle produzioni più modeste e spesse volte biopic estremamente datati.
Per fortuna vi è poi quel regista che riesce a sconfinare, e realizzare pellicole dove ci si dimentica di assistere a un fatto realmente accaduto, di immedesimarsi in un personaggio storico, e ne è un esempio Pablo Larraìn, che lo scorso anno ha portato in sala due dei migliori biopic dei tempi recenti: Neruda e Jackie. Ma non mancano esempi eccellenti antecedenti come Todd Haynes con Io non sono qui e David Fincher con The Social Network.
Anche nei prossimi mesi i biopic non mancheranno sul grande schermo con La battaglia dei sessi, The Current War, Vittoria e Abdul e L’ora più buia, sia sul piccolo schermo con serie come Trust e The Assassination of Gianni Versace ma quali di loro sconfineranno gli standard non limitandosi alla semplice narrazione, e nel caso dell’attore alla semplice imitazione? 

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