Torino Diary: I migliori film del Torino Film Festival 2016

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Di Edoardo Intonti

Si è conclusa ormai da una manciata di giorni la 34esima riuscitissima e affollatissima edizione del Torino Film Festival, che ha visto tra i protagonisti sia grandi titoli  molto attesi come Free State Jones, Sully, Elle, Christine Free Fire, che documentari e produzioni ben più minute provenienti da tutto il mondo come NANA, Animal Politico, La Felicità umana. Una selezione di classici del passato come Merry Christmas Mr.Lawrence, Palombella Rossa, Jules et Jim, Sleeper) e debutti registici di nomi più o meno famosi. Ecco dunque la selezione dei  titoli più interessanti visti al festival:

Out of Love
di Paloma Aguilera Valdebenito

Una storia d’amore iniziata come tante: due individui appartenenti a due culture diverse (russa e greca), entrambi trasferitosi in una realtà multiculturale (quella di Amsterdam) che li accoglie e li fa incontrare, L’iniziale idillio sessuale e affettivo nel tempo naturalmente scema, obbligando i due innamorati a relazionarsi con le paure e i difetti dell’altro. La regista mostra con sguardo obbiettivo i limiti e le colpe dei due innamorati, senza cadere nella facile trappola del femminismo o della misoginia, creando un quadro realistico di una relazione specchio dei tempi moderni.

We are the Tide
di Sebastian Hilger

Con una sceneggiatura a metà tra la fantascienza, il thriller e il film filosofico, il giovane regista tedesco ci racconta di un evento accaduto circa 15 anni fa a nord di Berlino, in un paese sulla costa, nel quale misteriosamente, in seguito alla bassa marea, sparirono tutti i bambini del villaggio, lasciando le famiglie nello sgomento e gli scienziati pieni di dubbi. Oggi un giovane ricercatore e la figlia del suo professore provano a spiegare scientificamente quel mistero, a metà tra il fisico e il metafisico.

Goksung

di Na Hong-jin

Un’altra prova convincente proveniente dal cinema sud coreano, più immediato come recitazione e scelte registiche per gli occhi occidentali, ma ancora piacevolmente esotico per ambientazione e tematiche, che riescono a valorizzare ulteriormente un ottimo thriller-horror dal finale assolutamente inatteso. Un’interessante spaccato sulla Corea non-cittadina, de sui suoi abitanti  e dei loro stili di vita (omicidi e riti sciamanici a parte ovviamente).

Pyromanen
di Erik Skjoldbjærg

L’autore di Insomnia (1998) ci racconta del paradosso del giovane Dag, figlio del capo dei pompieri di un piccolo villaggio norvegese, il cui hobby è malauguratamente quello di appiccare incendi nei campi o ad edifici abbandonati.Esattamente come non è chiaro ai genitori il perché della natura instabile del figlio, anche noi spettatori cerchiamo di ricondurre ad un qualche trauma la spiegazione di tale atteggiamento, ma come spesso accade nella realtà, la soluzione non è facile da scovare. Un ritmo costante che fa da lungo preambolo ad una catarsi che mai davvero si compie fino in fondo.

I figli della notte
di Andrea de Sica

Un cognome importante quello del regista Andrea, nipote del neorealista Vittorio (vincitore di 4 premi Oscar), dal quale decide saggiamente di distaccarsi stilisticamente e per scelta di genere, per non dover sottostare ad un paragone che, al suo debutto , non sarebbe particolarmente edificante. Il film racconta di un collegio maschile per la ricca borghesia della futura classe dirigente italiana, nel quale Giulio è obbligato a relazionarsi con pratiche di nonnismo e bullismo in generale, solitudine, privazione dai comfort della vita quotidiana (internet, cellulari, libertà di orari ecc) e nostalgia di casa e della famiglia. Oltre la superficie da dramma adolescenziale vi è uno strato intermedio di favola noire, con evidenti allusioni a Shining di Stanley Kubrick o a Twin Peaks di David Lynch, con fantasmi e raptus omicidi annessi. Se il citazionismo può essere da un lato un colto omaggio a grandi autori del passato, dall’altro se usato troppo ripetutamente mostra una debolezza creativa alla lunga noiosa, nonostante l’evidente impegno degli sceneggiatori di proporre una storia seducente ed accattivante. Sicuramente un inizio apprezzabile per il giovane de Sica, che saprà dimostrare maggiormente il suo talento con le pellicole future.

King Cobra 
di Justin Kelly

E’ difficile fare un film sul mondo del porno senza rischiare di rendere lo stesso film un softcore, o senza riuscire a rappresentare appieno questo mondo un pò torbido e tragicomico. Justin Kelly ci riesce a metà, alternando il suo stile professionale, ma non particolarmente virtuoso, a quello volutamente grottesco e quasi amatoriale delle riprese pornografiche, con siparietti volutamente mal recitati e goffi delle intro pre-coito. Lo spettatore rivive le vicende del vero Sean Paul Lockhart, un giovane americano della periferia, che sogna vita agiata e soldi facili, cadendo più o meno vittima del mondo del porno gay, che lo lega irrimediabilmente ad un produttore possessivo e a due individui dal passato travagliato, anche loro immersi nel mondo del porno. Una storia vera,conclusa con un omicidio, inquietante più per la spirale di autodistruttività dei personaggi (che ancora una volta dimostrano il fallimento del sogno americano) che per l’ambientazione nel mondo del porno.

The Love Witch
di Anna Biller

In un panorama di mega produzioni, Anna Biller si fa notare nelle sue molteplici vesti di sceneggiatrice,produttrice, regista (in passato anche attrice per il suo Viva) dimostrando di poter esistere una dimensione artigianale e di qualità del cinema indipendente, prevalendo in questo TFF su altri autori connazionali che magari non hanno saputo dimostrare la sua stessa abilità.
Ispirato al cinema degli anni ’60 e ’70, Anna Biller mette in scena sapientemente la storia di una strega in cerca d’amore in una cittadina del nord della California, citando con cognizione di causa maestri come Hitchcock o i B movies sul genere vampiro-stregonesco. Forse un po’ ridondante nella sua ripetitività, ma decisamente degno di essere ammirato nei suoi 35 mm e nella sua fotografia retrò.