Destroyer – La recensione in anteprima del crime drama con Nicole Kidman

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Di Giuseppe Fadda

Da quando è uscita la primissima immagine di Destroyer, l’ultimo film di Karyn Kusama, si è parlato moltissimo della trasformazione a cui si è sottoposta Nicole Kidman per interpretare il ruolo della protagonista, la detective Erin Bell. Ma soffermarsi sul make-up e sulla parrucca è francamente superficiale e non rende minimamente giustizia al suo straordinario lavoro: innanzitutto, perché non è la prima volta che la Kidman ha dimostrato la sua mancanza di vanità imbruttendosi per un ruolo (vedi The Hours); e poi perché l’imbruttimento non è che il punto di partenza per quella che è un’interpretazione straordinaria che andrebbe studiata nelle scuole di recitazione.
La sua Erin Bell è una creazione indimenticabile, forse unica nella storia del cinema: di rado si è visto un personaggio femminile così violento, brutale e feroce. Erin, come Harry Callaghan e Frank Serpico, rientra nel genere di poliziotti disillusi e amareggiati dalla vita e dal sistema: ma, a differenza dei due personaggi sopracitati, Erin non ha ideali, né speranza, né orgoglio. È come un animale ferito che cerca di sopravvivere. 
Nella scena iniziale del film, vediamo Erin svegliarsi nella sua macchina e dirigersi verso una scena del crimine. I suoi colleghi la evitano come la peste, e come biasimarli: Erin sembra più un relitto umano che una persona e i suoi modi bruschi certamente non alleviano la sgradevole ruvidità del suo aspetto. Arrivata sul posto, nota subito che il cadavere ha un tatuaggio dietro al collo e ha in tasca una banconota tinta di viola. Erin, che ha lo stesso tatuaggio, dietro al collo, capisce immediatamente chi si cela dietro all’omicidio: Silas (Toby Kebbell), il capo di una banda criminale. Diciassette anni prima, Erin aveva preso parte ad una missione sotto copertura in cui si era infiltrata proprio in quella banda, insieme all’agente dell’FBI Chris (Sebastian Stan). Inizialmente, allo spettatore non è dato sapere altro se non che l’esito della missione è stato disastroso, presumibilmente la ragione per la condizione attuale della donna. Da questo momento in poi il film si sviluppa seguendo parallelamente due piani temporali: il primo, ambientato 17 anni prima, ci rivela man mano l’andamento della missione, resa ulteriormente complicata dal genuino sentimento nato tra Erin e Chris; la seconda, ambientata nel presente, ci mostra l’odissea di Erin alla ricerca di Silas e il suo burrascoso rapporto con la figlia adolescente Shelby (Jade Pettyjohn). 

La premessa del film, in realtà, non è particolarmente originale: molte volte abbiamo visto la storia del poliziotto tormentato che cerca di chiudere i conti con il suo passato. Se l’opera della Kusama risulta comunque interessante, fresca e originale è per due motivi principali: innanzitutto, perché il personaggio di Erin è semplicemente rivoluzionario. Gli sceneggiatori Phil Hay e Max Manfredi hanno creato un ruolo femminile che possiede una violenza, una brutalità e una spregiudicatezza che fino ad ora erano sempre state destinate a personaggi maschili. Se Destroyer avrà il successo che merita, Erin Bell potrebbe cambiare definitivamente il modo in cui vediamo e concepiamo i personaggi femminili, aprendo le porte ad un tipo di rappresentazione più cruda, viscerale e dolorosamente onesta. La seconda ragione per il successo del film è la sua coerenza da un punto di vista formale: Karyn Kusama ha creato una vera e propria opera d’arte in cui ogni componente è in perfetta armonia con il resto. Il risultato è un film che possiede un’ammirevole eleganza a livello di struttura, di estetica, di atmosfera. Le due storyline si alternano in maniera molto fluida tra loro: sono avvincenti separatamente, ma soprattutto creano un percorso unico e organico nel loro complesso, senza che i vari balzi temporali spezzino il ritmo del racconto. I flashback non sono in ordine cronologico eppure il film non risulta mai confusionario: ogni scena è esattamente dove deve essere, ogni scena beneficia dell’effetto di quella precedente e contestualizza o arricchisce quella successiva. La direttrice del montaggio Plummy Tucker meriterebbe l’Oscar per il suo incredibile lavoro: ogni pezzo di questo intricato puzzle è al posto giusto. La narrazione è senza dubbio complessa e per questo motivo Destroyer richiede una certa pazienza da parte dello spettatore: ma questa pazienza viene sempre ripagata e quando il film mette insieme tutti i pezzi della storia allo spettatore non resta che guardare ammirato. Altri elementi che contribuiscono all’eleganza e all’organicità del film sono l’atmosferica ed emozionane colonna sonora di Theodore Shapiro e la splendida fotografia di Julie Kirkwood, che quando non si sofferma sul viso emaciato e deperito della Kidman cattura il paesaggio di Los Angeles nella sua desolante aridità. Ci sono alcuni momenti in cui la Kusama tenta un approccio particolare che non funziona del tutto: un esempio lampante è un dialogo tra Erin e Silas che viene riprodotto in voice-over mentre i due si guardano. Ma queste piccole imperfezioni sono insignificanti di fronte all’eccellenza stilistica del film nel suo complesso.
Nessun personaggio di contorno ha veramente lo spazio per brillare, ma ognuno è caratterizzato abbastanza per poter essere credibile e tridimensionale. Il sempre bravo Sebastian Stan, pur non avendo moltissime scene, lascia il segno grazie al suo ritratto colmo di tenerezza: è l’unico spiraglio di decenza in un film popolato da personaggi egoisti, spietati e danneggiati. La meravigliosa Tatiana Maslany riassume tutta l’imprevedibilità e tragicità di Petra, la ragazza di Silas, in pochi minuti sullo schermo. Scoot McNairy, nel ruolo dell’ex-marito di Erin, regala un’interpretazione inaspettatamente commovente. Particolarmente notevole è anche il cameo di un Bradley Whitford deliziosamente sopra le righe. 
In realtà, l’intero cast è perfetto e senza pecche. Ma il film, dall’inizio alla fine, appartiene alla Kidman. Se nelle scene ambientate al passato la Kidman ritrae in maniera credibile e convincente una Erin ancora giovane e idealista, in quelle ambientate nel presente scompare completamente nella pelle di questa donna sconfitta e annientata dalla vita. La sua voce roca e spezzata, la sua camminata zoppicante e scomposta e il suo comportamento scostante e aggressivo la rendono un personaggio sgradevole, alienante e, in certi momenti, persino terrificante. E la Kidman, da sempre un’attrice coraggiosa e intraprendente, si dedica al ruolo con tutta sé stessa indagando a fondo nel degrado fisico e morale del suo personaggio: nel film la vediamo vomitare, masturbare un uomo morente in cambio di informazioni, picchiare un uomo di fronte a sua figlio, ubriacarsi e aggredire il fidanzato di sua figlia e molto altro. Ma, nonostante tutto, non possiamo non simpatizzare per Erin: forse perché lo sguardo della Kidman è così colmo di  rimpianto, amarezza e dolorosa consapevolezza che non può non farci pena; o forse perché un po’ ammiriamo la sua resilienza di fondo, la sua capacità di rialzarsi in piedi e la sua determinazione ad affrontare il suo passato una volta per tutte. E quando un’imbarazzante e astiosa cena tra Shelby e Erin si trasforma in una straziante ammissione di colpa da parte di quest’ultima, la Kidman raggiunge un’intensità tale da lacerarti il cuore. Destroyer è un ottimo film per svariate ragioni, ma nessuna è più importante dell’interpretazione della Kidman. Grazie al suo ritratto, Destroyer diventa un’indimenticabile studio di personaggio e una commovente riflessione sul senso di colpa, sugli errori che commettiamo e sul desiderio di redenzione. È un capolavoro di recitazione a cui le parole non possono rendere pienamente giustizia.

Destroyer è stato presentato in anteprima italiano al Noir in Festival di Como e sarà distribuito prossimamente in Italia da Videa.

VOTO: 8.5/10

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