Due donne – La recensione del film Netflix con Tessa Thompson e Ruth Negga

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Di Massimo Vozza

I debutti cinematografici femminili dietro la macchina da presa fortunatamente stanno a dir poco proliferando negli ultimi anni e, come già accaduto prima, il film del quale vi si vuole parlare è l’opera prima di una donna attrice: Rebecca Hall.

Passing, tratto dell’omonimo romanzo di Nella Larsen, presenta diversi elementi che si sposano perfettamente con il debutto di una cineasta, da una parte per via della sua messa in scena non particolarmente dispendiosa seppur si tratti di un film in costume e dall’altra per i temi che affronta nonostante Hall non abbia naturalmente vissuto in prima persona i problemi della questione razziale, in particolare nella New York degli anni ‘20. Ovvio che la soluzione sia stata quella di riuscire a rendere proprio, quanto maggiormente possibile, e in seguito universale questo come tutti gli altri aspetti tematici, per permettere ai diversi spettatori di accedervi grazie alla credibile e personale riscrittura del romanzo: ed ecco allora che a prevalere non è tanto la questione sul colore della pelle ma il più generale cercare di passare per altro da quello che realmente si è (aspetto che dà poi il titolo all’opera), il che può davvero riguardare chiunque (come sottolinea anche il film). L’altra tematica che sostiene la vicenda è il rapporto che lega e separa le due donne al centro della vicenda, il quale si potrebbe definire un’amicizia con ampi margini di ambiguità che però non vengono mai approfonditi a sufficienza, tanto da lasciare, una volta conclusasi la visione, sia un margine interpretativo stimolante sia un po’ di insoddisfazione.

Il potenziale talento della Hall come regista però si nota soprattutto nel modo in cui è stata capace di far rispecchiare questa struttura sottostante di Passing con la messa in scena, con l’estetica che accompagna l’intero titolo: l’attenzione per i dettagli, la costruzione ricercata (forse anche eccessivamente) delle forme all’interno dell’inquadratura, e quel rapporto dell’immagine a 4:3 insieme al bianco e nero; soprattutto questi ultimi due elementi è evidente sin da subito che non stiano lì solo per ricordare l’epoca nel quale è ambientato ciò che guardiamo ma in primis con lo scopo di enfatizzare il rapporto dei personaggi tra di loro, con lo spazio circostante e di ognuno con se stesso. Da plauso l’effetto della luce sulle due interpreti principali con la carnagione scura (entrambe sono di origine africana da parte di padre) che sin dalle prime scene è così forte da rendere la loro pelle bianco latte, mimetizzandole in una realtà all’epoca principalmente caucasica in aperto contrasto quella Harlem, quartiere di provenienza di entrambe le donne dove, diversamente, sono ambientate molto scene in interni decisamente più ombrate e ricche di sfumature.

Tessa Thompson e Ruth Negga si calano degnamente nei corrispettivi personaggi e le scene dove interagiscono sono le migliori a livello di scrittura, tanto che sarebbe stato auspicabile averne di ulteriori: seppur Irene e Clare abbiano richiesto alle due attrici interpretazioni quasi in antitesi (l’una più trattenuta ma dagli sguardi intensi, l’altra maggiormente fisica e sopra le righe) è esattamente la combinazione tra queste ad aver creato quello che è probabilmente il contrasto migliore dell’intero film.

VOTO: ★★★½


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