Glass – La recensione del capitolo conclusivo della trilogia di M. Night Shyamalan

Seguici anche su:
Pin Share

Di Simone Fabriziani

David Dunn è divenuto un vigilante che protegge Philadelphia dai criminali. Figura controversa, è ricercato dalla polizia e il suo successo dipende dall’essere un eroe anonimo e sempre un passo avanti alla legge. Crumb, invece, con le sue sinistre personalità ha rapito quattro altre adolescenti da sacrificare alla Bestia. Poiché le autorità non riescono a rintracciarlo, Dunn si ripromette di trovarlo per primo. Come risultato, entrambi finiscono in un centro di ricerca psichiatrica, dove si ritrovano al cospetto di Elijah Price, ridotto l’ombra di ciò che era. Dal 17 gennaio si compie la trilogia ideata, scritta e diretta da M.Night Shyamalan con l’atteso Glass.
Una serie cinematografica in tre tempi che si è formata in assoluto divenire quella terminata quest’anno con Glass. Si inizia nel 2000 con il sottovalutato Unbreakable – Il predestinato, coraggioso tentativo da parte di un Shyamalan post-successo internazionale per The Sixth Sense – Il sesto senso di omaggiare e ribaltare il concetto di supereroe giocando con gli stereotipi del genere, fornendo una nuova generazione di comi book movies filosofici e autocoscienti di sé stessi; diciannove anni fa è stato flop di pubblico. Nel 2016 con l’inatteso successo al box-office globale del thriller a tinte horror Split, Shyamalan sorprende i fan più incalliti del suo cinema e fa convergere gli universi narrativi del disordinato mentale Kevin di James McAvoy e del cupo sorvegliante interpretato dal misurato Bruce Willis nel film precedente del 2000. Ad aggiungersi alla resa dei conti l’arcigno e manipolatore Samuel L.Jackson nei panni di Mr. Glass, l’uomo di vetro.

Più che showdown finale tra i tre pesi narrativi che qui convergono e si scontrano, Glass si sedimenta come ideale capitolo conclusivo del real life super-hero orchestrato dal regista statunitense se preso come inusuale riflessione sulla mitologia dell’eroe sovrumano, sulle origine stesse della leggenda, del mito, sul potere inenarrabile del racconto del fenomeno sovrannaturale, perpetrato nella cultura pop occidentale nel mito del fumetto, qui ancora una volta omaggiato da Shyamalan. Quella che uno dei tre protagonisti afferma essere <<una storia di origini>>.

Quello che Glass invece non fa con altrettanta perizia è di amalgamare le tre storyline con arguzia e precisione in fase di scrittura; se l’idea di formulare un alternativo crossover si rivela carta vincente e ricca di stimoli potenziali, non si può dire altrettanto del suo scheletro narrativo, fin troppo ricco di suggestioni, suggerimenti, filosofismi, cervelloticità. Troppo preoccupato di giustificare a tutti i costi la convergenza cinematografica dell’immaginario bestiario di supereroi nati dalla sua mente creative, il regista e sceneggiatore sacrifica all’altare dell’inevitabile <<tutto torna>> del cerchio narrativo alcune delle sue mansioni e capacità più spiccatamente brillanti: quelle del saper sorprendere e creare un textbook metatestuale di riferimento pregno di riflessioni e buone intenzioni per il grande schermo e per il genere cinematografico che qui cerca di giustificare.
Contraltare femminile nel cast è la giovane  Anya Taylor-Joy (già vista precedentemente in Split) e la new entry di spessore Sarah Paulson.

VOTO: 6/10