Il cardellino – La recensione del film con Ansel Elgort e Nicole Kidman

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Di Daniele Ambrosini

Subito dopo la sua première, avvenuta lo scorso settembre al Toronto Film Festival, Il cardellino è passato dall’essere uno dei titoli favoriti della stagione dei premi attualmente in corso, ad essere il titolo più sbeffeggiato dell’autunno, nonché la più cocente delusione del festival canadese. Il box office americano, poi, si è rivelato essere anch’esso estremamente deludente, tanto che ha portato la Warner Bros. a rivedere i suoi piani per la distribuzione italiana e ad annullare l’uscita in sala prevista per ottobre. Il film, verrà, infine, distribuito per il mercato italiano dal 6 dicembre in streaming on demand su varie piattaforme, come Chili e Appla Tv.
Protagonista del film è Theo, che quando aveva solo tredici anni si trovava al Metropolitan Museum di New York il giorno che questo è stato colpito da un attacco terroristico. Lui è uscito indenne da quell’incidente, ma sua madre, che si trovava in un’altra stanza, è morta per via dell’esplosione di una bomba. Quel giorno segnerà per sempre la vita di Theo per una lunga serie di ragioni, il ragazzo dovrà infatti affrontare non solo le conseguenze della perdita della madre, ma anche quelle di una decisione presa sul momento, mentre si trovava in mezzo alla polvere e alle macerie, ovvero quella di portare via un quadro, il bellissimo “cardellino” di Carel Fabritius. Da qui iniziano una serie di vicissitudini personali che lo metteranno a dura prova. Passati otto anni e diventato un promettente giovane uomo, Theo sarà costretto ad affrontare una volta per tutte i fantasmi del suo passato.

Il cardellino è un film riuscito a metà, il cui difetto maggiore è probabilmente quello di non essere riuscito ad adattare con successo le oltre settecento pagine del romanzo di Donna Tartt da cui è tratto, di non essere riuscito a trovare il giusto compromesso per la transizione dalla pagina allo schermo. Soffre di una certa pomposità che non può che essere di ispirazione letteraria, e si perde nella necessità di riportare quanto più fedelmente i vari passaggi di trama di una storia di per sé molto dispersiva che forse, cinematograficamente, non avrebbe potuto funzionare se non reimmaginata, asciugata. Perché, alla fine di tutto, si ha sempre l’impressione che ci sia un elemento del quadro generale che ci sfugge, e questa sensazione è dovuta principalmente ad una scrittura dal respiro ampio, ampissimo, che finisce per perdere di vista il focus della narrazione e a divagare molto.

Detto questo, Il cardellino, comunque, è un film piuttosto distante dal disastro immane descritto dagli americani, anzi, è un film piuttosto piacevole con una premessa abbastanza assurda da tenere alta l’attenzione dello spettatore per tutto il tempo, un film fotografato in maniera eccellente e diretto con garbo ed eleganza. Un film che, perdonata la melensa e innecessaria scena d’apertura con voice over che tenta di mettere in prospettiva già da subito una vicenda che deve ancora essere presentata al pubblico, per la prima ora e mezza scorre piuttosto bene, complice anche il fatto che per tutto quel tempo ad essere protagonista del film è il Theo tredicenne di Oakes Fegley, che ha una linea narrativa sicuramente più coinvolgente e accattivante di quella destinata al ben più bravo Ansel Elgort, al quale è dedicata la seconda parte del film, quella sicuramente più debole.

Benché il film di John Crowley non sembri un vero e proprio coming of age, e non si avventuri neanche troppo in quel territorio narrativo, è proprio quando ad essere al centro della scena c’è il giovane Theo che il film funziona meglio, perché, nonostante l’approccio del regista irlandese al racconto dell’infanzia non sia tra i più onesti o veritieri, il suo protagonista è a fuoco, ha uno scopo preciso e una storia, un background che sembra ancora sia coerente che funzionale alla narrazione. Il Theo adulto, invece, è caricato di una lunga serie di elementi narrativi che fanno si che si vada a perdere un po’ il punto della situazione, che non si capisca bene quale sia realmente il suo obiettivo come personaggio e, ancor di più, si perda il reale motivo per cui agisce nel modo in cui agisce, è una mina vagante che aveva bisogno di una scrittura più compatta e meno dispersiva per trovare una sua reale dimensione sul grande schermo. Peccato.

Il cardellino, ad essere onesti, pur non essendo eccelso, per i primi due atti è un’opera piuttosto interessante, che sfrutta bene la latente componente thriller per raccontare un’epopea familiare incredibilmente vasta, ma che, nell’ultimo atto, fallisce nel tirare le fila del discorso e mettere davvero in prospettiva il viaggio del suo protagonista. E, inoltre, finisce per scavalcare i generi e diventare confuso nel tono e nelle intenzioni nel corso della mezz’ora conclusiva, che sembra molto poco coesa con quello che l’ha preceduta, in termini di resa più che altro.

Sembra strano da dire di un film basato su un romanzo vincitore del premio Pulitzer e con alle spalle uno script di Peter Straughan, l’uomo che aveva curato l’adattamento del bellissimo La talpa, ma Il cardellino ha una struttura narrativa poco convincente, incredibilmente dispersiva, che ne limita in modo incredibile la riuscita. Il cardellino, in altre parole, è un film problematico a livello di scrittura. Un film che non può dirsi riuscito proprio per le problematiche strutturali che emergono fortissime nel terzo atto del film e per il suo insoddisfacente finale, ma che, tuttavia, nel complesso non è affatto da buttare via. Nonostante tutto, Crowley aveva trovato una chiave giusta per mettere in scena questo dramma, aveva trovato la giusta dose di melò per rendere accattivante un intreccio tanto intricato da non poter essere affrontato come un semplice dramma, mettendo su un film che per una buona ora e mezza semina in maniera intelligente, nonostante il suo materiale di partenza. Non sarà il film dell’anno, ma forse avrebbe meritato il prezzo di un biglietto.

VOTO: 5,5/10