IO, DANIEL BLAKE – La Recensione

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Di Simone Fabriziani
Il cinquantanovenne Daniel Blake (Dave Johns) di Newcastle fa il falegname da sempre. Per la prima volta nella sua vita, però, ha bisogno dell’aiuto dello Stato. Daniel conosce Katie (una straordinaria Hayley Squires), madre single con due bambini piccoli, Daisy e Dylan. Per Katie, l’unica possibilità di sfuggire alla vita in una squallida camera di un ostello londinese è trasferirsi in un città che non conosce, a 500 chilometri di distanza dalla capitale inglese. Le vite di Daniel e Katie si intrecceranno in una contemporanea terra di nessuno, schiacciata da un impietoso sistema burocratico.

Vincitore , un po a sorpresa, della Palma d’Oro all’ultimo Festival di Cannes, il nuovo film del veterano britannico Ken Loach si riconferma l’ennesimo, grande film di denuncia della società inglese della contemporaneità. Ad essere preso di mira qui il sistema burocratico britannico dei sussidi statali che divide la popolazione tra chi lavora duro e chi invece sfrutta proprio i sussidi pur di non lavorare.

Il sobrio ed implacabile j’accuse di Loach alle politiche britanniche di destra contro chi si avvale dei sussidi statali in maniera fraudolenta secondo la campagna di disinformazione portata avanti sul suolo inglese negli ultimi anni dalla stampa conservatrice è un altro tassello dal sapore neorealista attraverso il quale il “regista proletario” racconta con la solita maestria una storia di ordinaria disuguaglianza sociale: uso della musica minimalista, linguaggio cinematografico più vicino alla sensibilità del documentario per enfatizzare il senso di disperata realtà in cui si trovano a lottare i due protagonisti, portati in scena grazie ad una scrittura precisa e puntuale dallo sceneggiatore Paul Laverty e dalla coppia di interpreti (di estrazione televisiva e perlopiù teatrale) Dave Johns nel ruolo titolare e Hayley Squires, a cui forse appartiene la sequenza più dignitosamente straziante dell’intera pellicola.
In definitiva Io, Daniel Blake si candida a diventare negli anni uno dei titoli più forti e unanimemente apprezzati del cineasta inglese, una imperturbabile e spietata denuncia contro un sistema burocratico, quello britannico attuale, che genere un drammatico dislivello sociale e che toglie, silenziosamente, dignità a chi ancora lotta per conservarla ogni giorno. A dispetto dell’opprimente british burocracy dagli effetti devastanti nelle regioni più distanti dalla capitale inglese.

VOTO: 4/5




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