Lazzaro Felice – La recensione del film scritto e diretto da Alice Rohrwacher

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Di Anna Martignoni

Nel basso Lazio, nel borgo rurale di Inviolata, vive una piccola comunità di contadini; tutti, dagli anziani, ai giovani innamorati, alla madre bambina Antonia vengono sfruttati come veri e propri mezzadri dalla signora delle sigarette, la Marchesa Alfonsina de Luna. Dentro la parata di personaggi bizzarri spicca Lazzaro, ventenne contadino talmente buono e disponibile da risultare talvolta servile e fessacchiotto; il giovane finisce per fare amicizia con l’aristocratico e viziato figlio della Marchesa Tancredi: il legame instauratosi tra i due ragazzi supererà ogni barriera di luogo e di tempo.


Al suo terzo film da regista, Alice Rohrwacher porta sullo schermo una fiaba moderna dal sapore dolceamaro.  Nella prima parte del film a fare da sfondo alla vicenda vi è la campagna rurale e assai arretrata, dove i protagonisti sono semplici contadini che niente possiedono se non il senso -talvolta opprimente- di famiglia allargata e la pacata calma della vita agreste. Qui vengono bistrattati e sfruttati come veri e propri schiavi nella raccolta del tabacco per la Marchesa (Nicoletta Braschi), nobildonna soltanto in apparenza, la quale torna come ogni estate nella sua villa splendidamente in decadenza assieme allo svogliato figlio Tancredi (Luca Chikovani). Come protagonista emerge timido il ventenne Lazzaro (Adriano Tardiolo), il quale non manca di essere prosciugato dalla comunità tutta nel compiere lavori pesanti o, ancora peggio, nell’essere deriso per la sua estrema ingenuità. Solamente in questo luogo così distante dalla realtà si instaura una tanto insolita quanto duratura amicizia, proprio tra Lazzaro e Tancredi: il primo rimane folgorato dal giovane straniero, il quale gli offre fugaci occasioni per evadere dalla prigionia -simbolica- dei campi, mentre il secondo trova in Lazzaro un compagno di avventure e un coetaneo con cui finalmente poter condividere i pensieri negativi sulla madre-padrona e sprigionare la sua fervida immaginazione, architettando così un subdolo piano per far scomparire le sue tracce. In men che non si dica arrivano dispotici i carabinieri: giunti in loco alla ricerca di Tancredi, se ne vanno con tutta la comunità (meno i due giovani), così retrograda da temere di attraversare un fiume quasi in secca.

Inizia quindi la seconda parte della pellicola ambientata nella periferia di una grande città; qui il giovane Lazzaro, per il quale il tempo sembra essersi fermato, incontra nuovamente la sua gente, con la differenza che tutti loro sono ora assai cresciuti. La prima a riconoscere il ragazzo è Antonia (una svogliata Alba Rohrwacher), l’unica persona realmente interessata a prendersi cura di Lazzaro. Al contrario, il tanto sospirato riavvicinamento con l’adulto Tancredi (Tommaso Ragno) appare piuttosto deludente, non solo per il gruppo dell’Inviolata che viene respinto dopo un invito a pranzo, ma anche per lo spettatore: accantonato il sogno dell’uomo che salva il giovane dalla miseria in cui è capitato, ci si augura almeno che i due recuperino il tempo perduto. E invece no. Ogni speranza viene disillusa.
La seconda parte di Lazzaro felice perde quella sorta di curiosità e di attesa scaturita dalla prima, imperniata sul rapporto tra Tancredi e Lazzaro e sigillato nella metafora della fionda che il primo regala al secondo come arma da utilizzare contro la madre in campagna, e dunque contro quel sistema gerarchico che ritrovano in città: tutti sono diventati adulti e nessuno è esente dai peccati, nessuno tranne Lazzaro, il quale rimane danneggiato nel momento in cui sfodera le sue due migliori armi, la fionda e la bontà d’animo. Il protagonista diventa così un antieroe a tratti irritante, il bonaccione da raggirare appena si ha l’occasione per farlo e che passa in secondo piano scavalcato dall’avida volontà di emergere del resto del gruppo. Nella contrapposizione tra campagna e città la prima vince di gran lunga sulla seconda: il ritratto dei contadini che parlano solo in dialetto e della splendida povertà dell’ambiente che li circonda funziona molto più del degrado urbano in cui i protagonisti vengono inseriti successivamente. Il ritmo della pellicola, che potrebbe aumentare come la frenesia della città, rimane invece sempre statico e flemmatico, facendo perdere la concentrazione allo spettatore, il quale nel frattempo si chiede chi sia il vero protagonista della storia: forse quel lupo che dalla campagna alla città ha seguito tutta la vicenda in secondo piano?
Lazzaro felice è stato premiato all’ultimo Festival di Cannes nella categoria miglior sceneggiatura, scritta da Alice Rohrwacher. Il film verrà distribuito nelle sale italiane il prossimo 31 maggio da 01 Distribution.

VOTO: 6/10