Maria

Maria, la recensione da Venezia 81

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In concorso all’81° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Maria è la chiusura ideale della trilogia tutta al femminile firmata Pablo Larraìn ed iniziata nel 2016 (proprio al festival italiano) con Jackie e continuato nel 2021 con Spencer. Dopo gli inediti ritratti di Jacqueline Kennedy e Diana Spencer, il regista cileno racconta gli ultimi sette giorni della vita di Maria Callas, diva assoluta della musica lirica.

Nei panni dell’immortale Callas il premio Oscar Angelina Jolie, che dopo alcuni anni dietro la macchina da presa e non più star trainante di pellicole hollywoodiane, torna protagonista assoluta di un lungometraggio che, come da tradizione del regista cileno, rifugge sapientemente i cliché del biopic tradizionalista. Nel voler raccontare gli ultimi giorni di vita della Diva della musica lirica, Larraìn viene coadiuvato da una sceneggiatura originale targata Steven Knight (aveva già scritto per Larraìn l’ottimo Spencer) che gioca su più piani di lettura e su differenti linguaggi di scrittura e messa in scena.

Maria
Angelina Jolie in una scena del film – fonte: Fàbula

Se Jackie intratteneva un rapporto intimo con il thriller psicologico mentre Spencer si ri-decodificava tra gli stilemi della ghost story, Maria è a tutti gli effetti un lungometraggio biografico che ricalca spudoratamente elementi e ricorsi narrativi che hanno da sempre caratterizzato l’opera lirica, e di conseguenza il melodramma. La sceneggiatura di Knight e la regia fredda ed intimistica di Larraìn scavano all’interno del dramma interiore di Maria Callas, qui ritratta come una divinità in decadenza, imprigionata all’interno di un vetusto appartamento parigino a fare i conti con i fardelli di un passato che l’hanno plasmata, lontana ormai dal mondo magico che l’aveva resa celebre in tutto il mondo ed in cerca di una nuova voce. Letteralmente.

La Maria Callas tratteggiata da Angelina Jolie è quella di un’eroina femminile in balia del suo stesso destino, in lotta contro il suo stesso passato per vincere la battaglia più grande della sua vita: quella di una speranza per il futuro, libera finalmente dall’ombra di una madre che la costringeva a cantare per uscire da una situazione di estrema povertà, e dell’amore della sua vita Onassis, che la teneva invece in gabbia come un uccellino prezioso e fragile. Nel mezzo, una vita ed una carriera di rimpianti ed al contempo di straordinari successi nel mondo della lirica, momenti temporali del passato e del presente della protagonista che le passano di fronte i suoi stessi occhi a mo’ di febbricitante sogno lucido.

Angelina Jolie in una clip dal film – fonte: Fàbula

Tassello conclusivo della trilogia femminile di Larraìn, Maria ne è però l’anello a conti fatti più debole, perché forse fin troppo incatenato ad una sceneggiatura stavolta veramente fuori fuoco, incapace di comprendere spesso e volentieri cosa vuole essere, quale lato enigmatico di Maria Callas (non) raccontare, quale strategia cinematografica adottare per incastonare ancora una volta nel firmamente delle grandi icone femminili del passato Novecento la Diva assoluta della musica lirica di tutti i tempi. Un biopic sì sapientemente diretto da Larraìn ed interpretato da una ritrovata Angelina Jolie,ma incapace di spiazzare e di intavolare coraggiosamente dibattiti stimolanti sulle luci e le ombre della figura storica che vuole raccontare. In definitiva (e a malincuore), confuso e poco interessante.

Maria arriverà prossimamente nelle sale italiane con 01 Distribution, negli Usa con Netflix.

VOTO: 2.5/5


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