Di Daniele Ambrosini
Arriva dopo un anno e mezzo di attesa la seconda stagione del piccolo caso televisivo Master of None. Era imperativo fare bene dopo il clamore suscitato dalla prima stagione, che si era imposta fin da subito all’attenzione del pubblico e della critica come una novità in grado di portare una boccata d’aria fresca nell’ormai usurato campo delle comedy televisive. Master of None finì per ottenere 4 nomination agli Emmy e riportò addirittura la vittoria per la miglior sceneggiatura. Questa seconda stagione non solo è all’altezza della prima ma riesce nel difficilissimo compito di discostarsene completamente pur mantenendo lo stesso stile ed approfondendo tematiche simili, ma senza mai ripetersi.
Dopo la rottura con Rachel, Dev ha deciso di trasferirsi in Italia per passare un po’ di tempo lontano da New York, nella piccola città di Modena conosce persone nuove ed impara a fare la pasta (ed anche un po’ di sconclusionato italiano). In questo viaggio ha conosciuto Francesca, giovane e solare donna italiana, con la quale ha costruito un rapporto di profonda intesa, lei però è fidanzata da lungo tempo con Pino, un produttore di piastrelle. I due andranno in America due volte nel corso della stagione, dando modo a Dev di rincontrare Francesca. Sul piano lavorativo Dev è stanco di non riuscire a far decollare la sua carriera di attore così di ritorno dall’Italia la sua agente gli trova un lavoro come conduttore in un reality show chiamato “Scontro fra cupcake”, che è un successo di pubblico ma che non lo soddisfa pienamente.
Uno degli elementi vincenti della serie è la combinazione intelligente e assolutamente innovativa di una linea narrativa orizzontale con episodi autoconclusivi. In questa stagione, più che nellla precedente è possibile apprezzare la particolare struttura narrativa della serie perchè, contrariamente a quanto accaduto nella prima stagione, gli episodi autoconclusivi non sono relegati nella parte iniziale della stagione, ma sono equamente distribuiti e si integrano perfettamente nella visione più ampia che Aziz Ansari ed il suo co-autore Alan Yang, hanno deciso di dare a questa seconda stagione.
Questa seconda stagione lavora perciò sulle strutture e sulle tematiche della prima stravolgendole un po’ e facendo qualcosa di completamente nuovo. La prima stagione era impostata principalmente sul senso di incertezza causato dall’essere trentenni, dal fatto che ogni scelta avrebbe potuto condizionare il resto della vita dei protagonisti, si avvertiva una certa diffidenza nei confronti del futuro, affrontato però con il sorriso; in questa seconda stagione invece vige una certa spensieratezza, Dev ha deciso di allontanarsi da New York proprio per portare un cambiamento nella sua vita, per ritrovare la tranquillità perduta e questo si riflette in tutta la stagione, infatti non solo la visione dubbiosa e vagamente pessimistica del futuro non emerge prima del finale ma anzi molto spesso Ansari e soci si rivolgono al passato, si abbandonano ad una malinconia diversa ma permeante allo stesso modo.
L’Italia al centro dei primi due episodi, ambientati a Modena e in Toscana, non ne esce benissimo. In un primo momento ci si chiede perchè in ogni scena debba essere nominato il cibo, come se il nostro paese fosse ridotto solo a quello, poi però nei due episodi successivi al rientro in America, Dev continua a parlare di cibo ininterottamente ricordandoci che forse lo faceva solo per deformazione caratteriale, però comunque resta un certo fastidio. Altro elemento non particolarmente riuscito è il casting locale, il primo episodio chiamato “The Thief” (con un palese riferimento a Il Ladro di Biciclette) è girato in bianco e nero in finto stile neorealista e quasi interamente recitato in italiano, il problema è che non è recitato particolarmente bene. I due volti italiani ricorrenti nel corso della stagione sono Alessandra Mastronardi e Riccardo Scamarcio, per entrambi bisogna dire che incredibilmente se la cavano quasi meglio con le scene in inglese piuttosto che con le (poche) scene in italiano. Scamarcio interpreta un personaggio diverso dal suo solito, perciò abbastanza fuori dalle sue corde, mentre la Mastronardi se la cava piuttosto bene.
Non solo riesce a non sfigurare ma è addirittura convincente la performance dell’interprete dei Cesaroni a cui forse sarà stata utile l’esperienza sul set romano di To Rome With Love di Woody Allen. Fa sorridere pensare che la Mastronardi abbia recitata sia in un film di Alle che in Master of None perchè non sono in pochi a ritenere Aziz Ansari l’erede del prolifico autore Newyorkese. E a pensarci bene Ansari ha lo stesso sguardo su New York che ha Woody Allen, è in grado di cogliere l’essenza della città e di porla come sfondo perfetto delle sue tragicommedie. In questa stagione ci sono almeno quattro episodi degni di una antologia delle serie tv, tra gli esempi più alti di commedia televisiva non solo dell’anno ma forse di sempre, e sono stati equamente divisi tra i quattro registi che hanno curato questa seconda stagione: Eric Wareheim dirige “First Date”, Alan Young “New York, I Love You”, Melina Matsoukas (famosa regista di video musicali) “Thanksgiving” e Aziz Ansari “Amarsi un po’”. Forse è meglio non soffermarsi su questi singoli episodi per non dilungarci troppo e per non anticipare niente a chi ancora non li avesse visti, vi basti sapere che sicuramente si giocheranno i titoli per la sceneggiatura e la regia ai prossimi Emmy. Aggiungo soltanto che un episodio brillantemente scritto come “New York, I Love You” avrebbe potuto tranquillamente portare la firma di Woody Allen, e questo la dice lunga sulla sua qualità.
Verrebbe da dire che Ansari si sia superato, confezionando una seconda stagione migliore della prima ma forse è un po’ presto per un confronto tra le due stagioni che non sia guidato dall’emozione, ciò che è certo è che questa seconda annata di Master of None sia televisione di alta qualità, che in molti punti sfiora il confine con il cinema, e che merita di essere vista ed apprezzata. Come si suol dire si ride e si piange, ma soprattutto ci si affeziona ai personaggi perchè la serie riesce a raccontare delle persone normali nella loro normalità con un’umanità di fondo davvero lodevole, alla quale è impossibile restare indifferenti.
VOTO: 8,5/10