One Night in Miami – La recensione dell’esordio alla regia di Regina King

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 Di Daniele Ambrosini

Presentato con grande successo prima alla Mostra di Venezia e poi al Toronto Film Festival, dove si è classificato secondo al premio del pubblico subito dietro al vincitore del Leone d’Oro Nomadland, One Night in Miami di Regina King, attrice premio Oscar e plurivincitrice dell’Emmy qui alla sua prima prova dietro la macchina da presa, si è imposto fin da subito come uno dei principali contendenti di questa anomala stagione dei premi, in grado di mettere d’accordo sia la critica statunitense che il grande pubblico. 

Tratto dall’omonima opera teatrale di Kemp Powers, che ha curato anche la sceneggiatura di questo adattamento (e che quest’anno si è fatto notare scrivendo anche Soul, l’ultimo successo animato della Pixar), One Night in Miami segue quattro importanti figure storiche, estremamente rappresentative per la comunità nera statunitense durante il periodo delle lotte per i diritti civili: l’attivista Malcolm X, il pugile Muhammad Ali, il campione di football Jim Brown e il cantante Sam Cooke. Il film ricostruisce in maniera romanzata un incontro realmente avvenuto il 25 febbraio del 1964, in una camera d’hotel, per festeggiare la storica vittoria del titolo di campione dei pesi massimi di Ali contro Sonny Liston. 

Regina King riesce a creare un film dalle fattezze piuttosto interessanti con il suo debutto alla regia. Un film in grado di parlare al grande pubblico, parlando direttamente e senza mezzi termini di una tematica che trova facili e inquietanti eco nel nostro presente, senza mai davvero calcare la mano, riuscendo a mantenere una certa leggerezza nell’esecuzione. Un mix vincente, con tutti i beat al posto giusto nonostante le limitazioni dovute all’ambientazione teatrale, che mette le azioni dei personaggi in secondo piano e rende centrale il dialogo tra i suoi protagonisti. 

One Night in Miami è, a tutti gli effetti, un film dall’impostazione teatrale, principalmente per via di una scrittura che non sacrifica niente dal passaggio da un medium all’altro, ma allo stesso tempo non fa neanche il salto verso il grande schermo, almeno sulla carta. Qui entra in campo la King, che si dimostra una regista intelligente, riuscendo, grazie ad una messa in scena sufficientemente dinamica a non dare l’impressione di star assistendo ad una semplice trasposizione teatrale, ad un’opera pensata per un altro medium, ma allo stesso tempo è in grado di valorizzare questa componente mettendo al centro le performance del suo straordinario cast. Kingsley Ben-Adir, Eli Goree, Aldis Hodge e Leslie Odom Jr. brillano grazie alle loro interpretazioni efficaci, ma controllate, per l’appunto mai eccessivamente teatrali.

Lo script di Kemp ha un ottimo controllo delle tempistiche ed è in grado di passare con grande disinvoltura da un tono ad un altro, riuscendo a bilanciare in maniera efficace dramma e commedia, pur senza mai andare davvero in profondità. La sua natura di crowd pleaser rende One Night in Miami un film molto accessibile, destinato a parlare in maniera diretta ed efficace ad una vasta fetta di pubblico, tuttavia gli impedisce di entrare nel dettaglio di alcune dinamiche, sia storiche che interne ai suoi personaggi, che avrebbero potuto valorizzarlo. Per esempio, la conversione all’Islam di Muhammad Ali è un elemento centrale nel film in termini narrativi, ma nonostante questo finisce per essere poco più di un semplice pretesto per portare avanti la storia, un elemento che era necessario inserire ma le cui implicazioni non sono mai realmente chiare, né altrettanto centrali. Peccato, di spunti interessanti per arricchire il sottotesto di questo incontro ce n’erano parecchi.

Pur non essendo particolarmente profondo o innovativo, One Night in Miami ha il merito di essere scorrevole, piacevole, sufficientemente dinamico e pop da avere il potenziale di parlare ad una frazione di pubblico importante. Tutte caratteristiche che lo rendono un concorrente ideale per la stagione dei premi, ma anche un esordio notevole. 

VOTO: 7/10


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