Queer

Queer, la recensione da Venezia

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Era tra i titoli più attesi in assoluto dell’81° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia. Nelle sale italiane arriverà prossimamente con Lucky Red, mentre negli Stati Uniti varcherà le soglie dei multisala con A24 a fine 2024. Diretto da Luca Guadagnino, Queer è l’adattamento audace e coraggioso dell’omonimo romanzo (scritto negli anni 50′ e arrivato nelle librerie soltanto nel 1985) di William S. Burroughs.

È il 1950. William Lee (Daniel Craig) è un americano sulla soglia dei quaranta espatriato a Città del Messico. Passa le sue giornate quasi del tutto da solo, se si escludono le poche relazioni con gli altri membri della piccola comunità americana. L’incontro con Eugene Allerton (Drew Starkey), un giovane studente appena arrivato in città, lo illude per la prima volta della possibilità di stabilire finalmente una connessione intima con qualcuno. Questo è l’incipit narrativo di quel capolavoro letterario firmato dallo stesso William Burroughs (Junkie, Il pasto nudo) che non solo è una delle ultime ed incompiute opera romanzesche dell’autore americano, ma anche uno dei suoi lavori più programmatici.

Daniel Craig in una scena di Queer – fonte: Fremantle

Per il suo ambizioso progetto, Luca Guadagnino si affida per la seconda volta ad uno script curato da Justin Kuritzkes (aveva già intrapreso la stesura della sceneggiatura dell’iconico Challengers, sempre per il regista italiano) e si spinge cinematograficamente oltre la mente offuscata e lisergica del Burroughs dipendente cronico da cocaina ed eroina e ben al largo dall’incompiutezza dell’inclassificabile anti-romanzo uscito nelle librerie di tutto il mondo nel 1985. Dello stile e del linguaggio dell’autore di Junkie e Il pasto nudo, rimane lo sguardo purgatoriale, vivacemente cromatico e febbricitante della realtà descritta dal suo protagonista. A partire dalla ricostruzione di Città del Messico, metropoli infima ed infernale interamente realizzata negli studi romani di Cinecittà.

Qui si muove il protagonista Lee, vero e proprio alter-ego dello stesso scrittore della Beat Generation qui interpretato da un fascinoso ed incalzante Daniel Craig (l’attore britannico, alla sua prima collaborazione con Guadagnino davanti la macchina da presa, potrebbe ottenere candidature importanti nei prossimi mesi), omosessuale di mezza età vagabondo liminale di una terra (quella del confino messicano) che non gli appartiene, un limbo geografico scandito dal consumo di droghe pesanti, da sordide esperienze sessuali con i giovinetti del posto, e da bevute notturne attorniato da una vivace compagine di popolazione queer al confino incapace di accettare se stessa e la propria comunità.

Craig e Starkey in un’immagine di Queer – fonte: Fremantle

In questo landscape purgatoriale e talvolta a-spaziale, si muove il desiderio sentimentale di Lee per il giovane Allerton interpretato da Drew Starkey, con il quale il protagonista intraprende una fugace seppur intensa frequentazione che cambierà per sempre la rotta della vita di William. Perfetta sintesi programmatica del pensiero e delle ambizioni letterarie dell’infilmabile Burroughs (del resto, vi ricordate il peculiare Il pasto nudo diretto da David Cronenberg?), Queer è anche testimonianza definitiva degli obiettivi contenutistici ed artistici di Luca Guadagnino, che dell’ossessione per i corpi maschili e per il desiderio qui ne fa sintesi coerente con il suo cinema recente e passato.

Un adattamento cinematografico millantato come uno dei film più accessibili del regista nostrano, ma che invece si attesta come una delle sue opere dietro la macchina da presa più impenetrabili ed astratte, senza compromessi e coraggiosa nella messa in scena. Dividerà gli animi della critica di settore e dell’affezionato pubblico di Guadagnino, ma noi siamo sicuri che di Queer, invece, ne se continuerà a parlare per gli anni a venire. Nel bene e nel male.

Queer è in concorso per il Leone d’Oro all’81° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia e arriverà prossimamente nelle sale italiane con Lucky Red.

VOTO: 4/5


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