Red Joan – La recensione in anteprima dello spy drama con Judi Dench

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Di Giuseppe Fadda

Alla maggior parte delle persone il nome di Melita Norwood non dirà nulla. Ma è proprio questa donna inglese, venuta a mancare nel 2005, la base per il romanzo Red Joan e per la sua omonima trasposizione cinematografica, diretta da Trevor Nunn. Melita era nata nel 1912 e dal 1932 al 1972 lavorò come segretaria presso la British Non-Ferrous Metals Research Association. Nel frattempo, si sposò con un professore ed ebbe una figlia. Poi, nel 1999, ecco la scoperta clamorosa: per 35 dei 40 anni di lavoro presso la B.N.F.M.R.A., Melita era stata una spia del KBG, colpevole di aver consegnato ai russi un’enorme quantità di documenti top secret – tra cui la ricerca che permise all’URSS di replicare la bomba atomica. Poiché aveva già 87 anni, Melita non fu mai processata per le sue azioni.


Nel 2013, Jennie Rooney ha pubblicato il romanzo Red Joan, liberamente tratto dalla vita della Norwood la cui controparte narrativa prende il nome di Joan Stanley. Il suo adattamento, proiettato in anteprima al Toronto International Film Festival l’anno scorso, è uscito nelle sale inglesi il 19 aprile, ricevendo recensioni non particolarmente entusiaste. E, purtroppo, sono giustificate: Red Joan non è un buon film, né un brutto film, semplicemente si tratta di un’opera infelicemente mediocre che spreca una storia potenzialmente affascinante per offrirne un resoconto sterile e banale. 
La storia è divisa in due filoni narrativi aventi protagoniste differenti: Sophie Cookson interpreta Joan nei suoi anni giovanili, quando entrò in contatto con il socialismo al college, ebbe una relazione con il giovane militante Leo (Tom Hughes) e iniziò la sua carriera come spia; Judi Dench interpreta invece una Joan ormai anziana e stanca, interrogata dalla polizia mentre cerca di giustificare le sue azioni agli occhi del suo inconsapevole figlio (Ben Miles). Nel complesso, la struttura del film è solida – le due differenti storyline si alternano con un ritmo costante ed efficace – anzi, il pregio principale del film è proprio la sua scorrevolezza. Non si può dire che il film non sia, almeno in una certa misura, godibile: la storia è di per sé accattivante ed entrambe le protagoniste regalano interpretano sufficienti. Ma al contempo è frustrante vedere una storia così brillante e ricca di potenziale ridotta ad un blando biopic senza una chiara direzione da seguire.

Le scene ambientate nel passato sono probabilmente più coinvolgenti di quelle ambientate nel presente, ma risentono pesantemente della sceneggiatura di Lindsay Shapero. Gli eventi storici che si susseguono sono minimizzati a mere indicazioni temporali per la crescita e il percorso di Joan: il contesto sociopolitico è analizzato con tale superficialità da far perdere credibilità quasi all’intera trama – c’è una patina di artificiosità che, inevitabilmente, fa perdere mordente alla storia. E sicuramente non aiuta il fatto che i personaggi siano così stilizzati. La Cookson è perfettamente adeguata nel ruolo, ma Joan non prende mai vita come dovrebbe anche a causa della sceneggiatura non del tutto coerente. Il film vuole convincersi che Joan sia abbastanza scettica nei confronti dell’Unione Sovietica da criticarne gli eccessi ma sufficientemente convinta da fornire loro informazioni di importanza chiave; vuole mostrare Joan come una rivoluzionaria da una parte e una moderata dall’altra. In ultima analisi, Joan resta una figura stranamente fiacca e questo perché né la Shapero né Nunn (la cui regia è funzionale ma impersonale) hanno il coraggio di abbracciarne le complessità. I personaggi di contorno appaiono ancora più stereotipati: Leo è un personaggio che resta fortemente bidimensionale e Hughes non riesce a catturare le sfaccettature che avrebbe potuto renderlo convincente; Sonya (Tereza Srbova), l’elegante e arguta cugina di Leo, Max (Stephen Campbell Moore), scienziato nonché futuro marito di Joan, e William (Freddie Gaminara), una spia del KGB che tenta di mantenere segreta la sua relazione con un giovane indiano, rimangono tutti dei ruoli abbastanza piatti, ben interpretati ma privi di una reale tridimensionalità.

Le scene ambientate nel presente sono abbastanza ripetitive e sono perlopiù costituite dall’interrogatorio di Joan da parte della polizia. Il rapporto tra Joan e suo figlio, che non riesce a capacitarsi del fatto che sua madre sia stata una spia, avrebbe potuto essere il fulcro morale ed emotivo del film: ma a esso è dedicato troppo poco spazio per essere anche solo convincente, figuriamoci commovente. Judi Dench si cala nella parte con efficacia e la scena in cui ribadisce le sue motivazioni rifiutando di chiedere scusa di fronte a sua figlio è senza dubbio memorabile: ma lo sarebbe stata ancora di più se il film non avesse fallito nel rappresentare lo spirito rivoluzionario e fiero di Joan fino a quel momento. Non c’è niente, in Red Joan, che si possa definire disastroso: la qualità comunque buona della recitazione riesce a renderla una visione in ogni caso godibile. Ma avrebbe potuto essere molto di più, un inno al coraggio e alla lealtà nei confronti di un’ideologia, oppure una profonda e sfaccettata riflessione sull’etica di tradire il proprio paese anche se con intenti positivi: invece, così com’è, non è che una (debole) storia di spionaggio.

Voto: 5/10


Red Joan uscirà nelle sale italiane giovedì 9 maggio 2019


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