Di Giuseppe Fadda
Nel 2013, Jennie Rooney ha pubblicato il romanzo Red Joan, liberamente tratto dalla vita della Norwood la cui controparte narrativa prende il nome di Joan Stanley. Il suo adattamento, proiettato in anteprima al Toronto International Film Festival l’anno scorso, è uscito nelle sale inglesi il 19 aprile, ricevendo recensioni non particolarmente entusiaste. E, purtroppo, sono giustificate: Red Joan non è un buon film, né un brutto film, semplicemente si tratta di un’opera infelicemente mediocre che spreca una storia potenzialmente affascinante per offrirne un resoconto sterile e banale.
Le scene ambientate nel passato sono probabilmente più coinvolgenti di quelle ambientate nel presente, ma risentono pesantemente della sceneggiatura di Lindsay Shapero. Gli eventi storici che si susseguono sono minimizzati a mere indicazioni temporali per la crescita e il percorso di Joan: il contesto sociopolitico è analizzato con tale superficialità da far perdere credibilità quasi all’intera trama – c’è una patina di artificiosità che, inevitabilmente, fa perdere mordente alla storia. E sicuramente non aiuta il fatto che i personaggi siano così stilizzati. La Cookson è perfettamente adeguata nel ruolo, ma Joan non prende mai vita come dovrebbe anche a causa della sceneggiatura non del tutto coerente. Il film vuole convincersi che Joan sia abbastanza scettica nei confronti dell’Unione Sovietica da criticarne gli eccessi ma sufficientemente convinta da fornire loro informazioni di importanza chiave; vuole mostrare Joan come una rivoluzionaria da una parte e una moderata dall’altra. In ultima analisi, Joan resta una figura stranamente fiacca e questo perché né la Shapero né Nunn (la cui regia è funzionale ma impersonale) hanno il coraggio di abbracciarne le complessità. I personaggi di contorno appaiono ancora più stereotipati: Leo è un personaggio che resta fortemente bidimensionale e Hughes non riesce a catturare le sfaccettature che avrebbe potuto renderlo convincente; Sonya (Tereza Srbova), l’elegante e arguta cugina di Leo, Max (Stephen Campbell Moore), scienziato nonché futuro marito di Joan, e William (Freddie Gaminara), una spia del KGB che tenta di mantenere segreta la sua relazione con un giovane indiano, rimangono tutti dei ruoli abbastanza piatti, ben interpretati ma privi di una reale tridimensionalità.
Le scene ambientate nel presente sono abbastanza ripetitive e sono perlopiù costituite dall’interrogatorio di Joan da parte della polizia. Il rapporto tra Joan e suo figlio, che non riesce a capacitarsi del fatto che sua madre sia stata una spia, avrebbe potuto essere il fulcro morale ed emotivo del film: ma a esso è dedicato troppo poco spazio per essere anche solo convincente, figuriamoci commovente. Judi Dench si cala nella parte con efficacia e la scena in cui ribadisce le sue motivazioni rifiutando di chiedere scusa di fronte a sua figlio è senza dubbio memorabile: ma lo sarebbe stata ancora di più se il film non avesse fallito nel rappresentare lo spirito rivoluzionario e fiero di Joan fino a quel momento. Non c’è niente, in Red Joan, che si possa definire disastroso: la qualità comunque buona della recitazione riesce a renderla una visione in ogni caso godibile. Ma avrebbe potuto essere molto di più, un inno al coraggio e alla lealtà nei confronti di un’ideologia, oppure una profonda e sfaccettata riflessione sull’etica di tradire il proprio paese anche se con intenti positivi: invece, così com’è, non è che una (debole) storia di spionaggio.
Voto: 5/10
Red Joan uscirà nelle sale italiane giovedì 9 maggio 2019