Roma 2019: The Farewell – Una bugia buona – La recensione del dramma familiare con Awkwafina

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Di Daniele Ambrosini

The Farewell, il dramma familiare autobiografico di Lulu Wang basato su una “bugia vera”, è stato uno dei titoli più acclamati del Sundance Film Festival di quest’anno, e a ragione. Il titolo targato A24 appena approdato alla Festa del Cinema di Roma, infatti, è un film bellissimo ed estremamente toccante, uno dei migliori dell’anno. 

Billi è una ragazza cinese trapiantata negli USA, dove vive fin dall’età di sei anni, che si trova in un momento difficile della sua vita, avendo appena scoperto di non aver ottenuto una borsa di studio alla quale ambiva ed avendo difficoltà a pagare il suo affitto. Una sera va a trovare i suoi genitori, che le dicono che partiranno per la Cina a breve per festeggiare il matrimonio di Hao Hao, un cugino che conosce a malapena. Billi nota che qualcosa non va quando i suoi genitori le consigliano di restare a New York e quindi insiste affinché questi le dicano cosa sta succedendo, così scopre la verità: a sua nonna, che lei adora e chiama affettuosamente Nai Nai, è stato diagnosticato un cancro ai polmoni in fase terminale, così la famiglia ha deciso di inscenare il matrimonio per permetterle di vedere la famiglia riunita un’ultima volta e dirle addio, senza che lei venga a sapere della sua malattia. Billi è troppo emotiva, perciò i genitori insistono che resti a casa, ma lei non li ascolta e parte lo stesso alla volta della Cina.

Lulu Wang attinge alla sua stessa esperienza per creare un affresco familiare estremamente vivido e potente, ma soprattutto sincero e completamente privo di retorica. Nella magnifica sceneggiatura della Wang tutti i personaggi sembrano avere corpo, sono così credibili che sembra di averli conosciuti per davvero, anche quelli a cui sono dedicate solamente un paio di sequenze, o di inquadrature, perché alla Wang servono solamente una manciata di pennellate ben assestate per creare dei ritratti realistici, si pensi per esempio a Hao Hao, il cui dramma è sottaciuto eppure evidentissimo.

The Farewell è un film elegante, che fa della misura la sua arma segreta. Ogni cosa in questo film è ottimamente calibrata, e niente sembra essere fuori posto, sia a livello narrativo che di messa in scena, per non parlare del tono. Se The Farewell riesce a toccare il cuore dello spettatore, infatti, è anche grazie alla equilibratissima commistione di dramma e commedia, dove nessuno dei due elementi diventa mai eccessivo o invadente, un mix che crea un’atmosfera dolce-amara che riflette in maniera perfetta la situazione narrata, ma che ha anche un che di incredibilmente naturale, in grado di cogliere l’essenza complicata e sfaccettata delle relazioni umane, fatte di luci ed ombre, di punti d’incontro e di scontro.

The Farewell è un film emozionante e commovente, e riesce ad esserlo senza strafare, senza ricorrere a facili sentimentalismi. Quello di Lulu Wang è un film fatto di piccole cose, dove le emozioni emergono in modo delicato e mai forzato, dove piuttosto che esplicitare qualcosa si preferisce giocare sul non detto, che è portatore di una forza emotiva enorme, che va colta tra le righe. E quando poi si parla, le parole pesano come macigni e spesso basta una sola battuta per aprire una finestra sul passato, per mettere in gioco spunti narrativi sempre più interessanti. Sotto un certo punto di vista, la delicatezza con cui è portato avanti The Farewell ricorda un po’ quella con cui era costruito anche Manchester by the Sea, un altro indie con una storia molto drammatica alle spalle che ha preferito portare avanti una narrazione dove a far emergere le emozioni in tutta la loro forza sono le situazioni stesse, senza bisogno di caricarle o di esplicitarne le implicazioni, senza mostrare praticamente una lacrima. In The Farewell, come nel film di Lonergan, a fare tutto il lavoro è la naturale connessione che si crea con i personaggi e con la vicenda, così umani e fortemente sentiti dagli autori, da parlare direttamente allo spettatore senza bisogno di trucchi.

In una delle scene più dialogate e all’apparenza più didascaliche emerge con forza una delle tematiche portanti del film, quella dell’immigrazione, dello scontro culturale e generazionale tra i vari personaggi, che viene riassunto in uno scontro tra gli ideali dell’oriente e quelli dell’occidente, e proprio in quel momento, quando qualcosa inizia a sembrare più costruito, più artificioso, la regista dona una chiave di lettura molto interessante a questo conflitto, offrendo uno spunto di riflessione molto personale. In America non sarebbe possibile tenere un paziente all’oscuro delle sue condizioni mediche, in Cina si può fare. Billi, che vuole informare la nonna delle sue condizioni, viene tacciata di essere egoista, perché non è in grado di farsi carico del peso emotivo della cosa, poiché dire la verità vorrebbe dire condannare la donna all’infelicità, solamente per liberarsi di un peso, di una responsabilità. Quello scontro tra i due mondi viene così integrato all’interno della riflessione che la regista fa sul senso di colpa, altra tematica non da poco, e tutto ciò avviene grazie ad una sola battuta in grado di ribaltare una conversazione all’apparenza molto semplice e giustificare un’intera scena. In questo film le parole sono come tutto il resto, sono calibrate, hanno un loro peso specifico, ed è una cosa bellissima.

The Farewell è un film molto preciso, estremamente rigoroso a livello di costruzione formale, è un film dove non manca niente e non c’è niente di troppo, ogni scena ha una precisa funzione narrativa ed è propedeutica ad un’evoluzione futura, non c’è spazio per ciò che non è necessario. The Farewell è un film senza fronzoli, asciutto, pulito. Per l’essenzialità della sua struttura narrativa e per la sua efficacia, quella di Lulu Wang è una sceneggiatura destinata a fare scuola per gli aspiranti autori del domani, che dovrebbero guardare alla precisione e alla coerenza con cui ogni elemento è posto all’interno del film come un esempio da seguire.

A splendere in The Farewell sono le due protagonista, la sempre più coraggiosa Awkwafina, qui alla sua performance più intima, più emozionante, e la sorprendente Zhao Shuzhen, che interpreta la nonna Nai Nai, una vecchietta con la lingua lunga e lo spirito buono, che probabilmente tutti vorrebbero come nonna, e che ha in sé gli elementi positivi di tutte nonne. Semplicemente da Oscar. Lulu Wang le osserva da vicino, dedicando loro molti primi piani, spesso incorniciandole insieme nella stessa inquadratura, cosa che ama fare con l’intero gruppo familiare, ma sa quando posizionare la macchina da presa più in dietro. E quando lo fa non è mai per creare distanza, quanto piuttosto per donare respiro alla scena. Capita poco spesso, ma quando capita non è mai casuale, così come quei minimi e controllatissimi movimenti di camera che, in un film quasi completamente a camera fissa, assecondano movimenti emotivi e psicologici dei personaggi e creano un effetto straniante quasi impercettibile che dona profondità alla scena, portando lo spettatore su una dimensione visiva differente. E per questo bisognerebbe fare un plauso anche alla direttrice della fotografia Anna Franquesa Solano.

Altro merito che non si può non riconoscere a The Farewell è quello di aver trattato la tematica della malattia con una sensibilità inconsueta, infatti pur essendo un film appartenente a quel filone lì (così popolare che ormai li si chiamano cancer movie) riesce ad evitare i classici cliché di quel tipo di narrazione. Non c’è compassione, non c’è il dramma che circonda la malattia e che trascina tutti a fondo. Quello descritto da Lulu Wang non è un personaggio malato, è un personaggio con una malattia, che però non è definito da essa. Nai Nai è molto di più, è amore, è casa, è famiglia, e lo è nonostante la malattia, che è a tutti gli effetti un elemento secondario del film, e per di più è quasi completamente asintomatica, non proprio una cosa usuale per questo filone di film, che solitamente ricamano e costruiscono sull’orrore della sintomatologia della malattia, strappando consensi facili. L’approccio della regista è profondamente umano, figlio del profondo rispetto che nutre verso questa vicenda e questi personaggi e soprattutto dell’onestà intellettuale ed emotiva con cui affronta l’intera operazione, nonostante tutto sia partito da una bugia. A vederne di più di film così, con un’anima così cristallina.

VOTO: 9/10