Sex Education – La recensione della serie Netflix con Asa Butterfield e Gillian Anderson

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Di Daniele Ambrosini
Ambientato in una piccola cittadina inglese, Sex Education racconta la storia di Otis, un sedicenne timido e riservato con un approccio alla sessualità tardivo e piuttosto problematico. Il rapporto con la madre Jean, una terapista sessuale divorziata e dedita ai rapporti occasionali, non aiuta lo sviluppo della sua identità sessuale. Un giorno, però, tutte le conoscenze accumulate in materia sessuale grazie alla madre lo aiuteranno a risolvere una situazione spinosa a scuola e ad aiutare un compagno in difficoltà; le sue capacità vengono notate dalla coetanea Maeve, che propone ad Otis di mettere su una clinica per aiutare gli adolescenti con i propri problemi sessuali. Inizia così un’avventura che cambierà l’introverso Otis e lo costringerà ad affrontare i suoi stessi problemi.

Sex Educaction è solo l’ultimo tassello della sempre più vasta offerta di intrattenimento pensato e rivolto ad un pubblico di adolescenti che è possibile trovare su Netflix; la compagnia di streaming infatti ha capito che prodotti simili ottengono l’attenzione del grande pubblico ed ha deciso di investirci sempre di più. Se tra i film prodotti come Tutte le volte che ho scritto ti amo, Sierra Burgess è una sfigata e Alex Strangelove sono riusciti a combinare le esigenze produttive ad un prodotto di buona qualità, tra le serie il percorso è stato diverso e più faticoso. Teen drama sempre più seriosi, quali lo spagnolo Élite ed il discutibilissimo Tredici, hanno catalizzato l’attenzione del pubblico, ma non sono riusciti a trattare in maniera adeguata la materia trattata, mentre commedie dal tono più leggero come il subito cancellato Everything Sucks! ed il vituperato Insatiable non sono riusciti a convincere il pubblico e la critica. Insomma, a livello contenutistico l’offerta teen di streaming non risulta essere particolarmente eccelsa nel suo complesso. Il salto di qualità vero e proprio arriva dal territorio inglese con la grottesca e irriverente The End of the F***ing World e continua con Sex Education, ad oggi miglior serie teen della piattaforma, in quanto primo, vero coming of age di Netflix, in grado di parlare ai ragazzi e dei ragazzi in maniera sincera.

Sex Education ha il sapore delle commedie adolescenziali di John Hughes, che hanno fatto la storia del genere negli anni ’80. Ed esattamente come in quei film i suoi personaggi sono delle maschere sociali, derivate soprattutto dall’immaginario liceale americano (l’emarginato, la bad girl, lo sportivo, ecc…), dotate, però, di una profondità del tutto estranea alle opere di Hughes, vittime del proprio tempo. In quei film la maschera era permanente e spesso i tratti dei personaggi erano definiti solo ed unicamente da quelle linee guida fornite dal loro ruolo nella scala sociale del microcosmo scolastico, ossia uno stereotipo, in Sex Education la maschera, invece, è il punto di partenza della caratterizzazione dei personaggi, un’etichetta provvisoria, destinata ad essere smentita, confermata, stravolta, ma sempre giustificata ed approfondita in maniera esaustiva. Rinunciando allo spirito goliardico e alla caratterizzazione grossolana a favore di un tono leggero ed uno studio puntuale dei propri personaggi, Sex Education mantiene la dolcezza di fondo e la stessa volontà di dare voce agli adolescenti che avevano Sixteen Candles e Breakfast Club, attualizzandoli. Il risultato è davvero lodevole.

Ciò che da davvero spessore alle storie di questi ragazzi è, inevitabilmente, l’approccio realistico alla sfera sessuale, spesso solo accennata ed utilizzata come strumento per definire il livello di successo e maturità dei personaggi in produzioni simili, che qui diventa invece una questione molto più complessa, quale realmente è. Una girandola di situazioni, approcci, problematiche, talvolta addirittura patologie, inerenti alla sfera sessuale, dipingono un quadro completo di quell’affascinante e spaventoso momento della vita che è l’adolescenza. E per raccontare tutto ciò la serie sceglie un approccio onesto, lavorando sul linguaggio, diretto quanto più possibile, e concedendosi anche qualche scena esplicita e molto grafica – fosse stato un film la sola scena d’apertura sarebbe bastata a far scattare la censura. Bisogna riconoscere lo sforzo della creatrice Laurie Nunn di infrangere qualche taboo ed il coraggio di Netflix di spingersi un po’ oltre ai limiti convenzionalmente stabiliti per produzioni simili. C’è chi ha parlato di un Big Mouth in versione live action, e bisogna ammettere che in termini messa in scena entrambe le serie si prendono una buona dose di rischi e a livello contenutistico rappresentano un po’ lo stesso universo, ma se Big Mouth è sprezzante e concentrata sui tipici temi dell’adolescenza, Sex Education opta per un piglio più leggero e decide di trattare aspetti della sessualità adolescenziale spesso poco chiacchierati (niente episodi sul primo ciclo o i cambiamenti del corpo, per intenderci). Manca il gusto per l’irriverenza che caratterizza più o meno qualunque altra produzione tenti di parlare di sessualità così apertamente, c’è piuttosto la volontà di normalizzare ed aprire una conversazione matura sule tematiche trattate.

Ottime le interpretazioni di tutto il cast, su cui spicca Asa Butterfield, il talentuoso protagonista de Il bambino col pigiama a righe, Hugo Cabret e Ender’s Game che negli ultimi anni ha faticato a trovare ruoli di rilievo al cinema. Ad affiancarlo ci sono i quasi esordienti Ncuti Gatwa e Emma Mackey (ormai diventata un fenomeno sul web per via della sua somiglianza con Margot Robbie) nei ruoli di Eric e Maeve, e numerosi altri giovani interpreti in grado di dare vita ad un vivace microcosmo scolastico. I ragazzi sono ovviamente il focus della serie e sono loro ad essere in scena per la maggior parte del tempo, ma Sex Education non sarebbe quello che è senza Gillian Anderson, vera e propria spalla comica in grado di rendere acuta e divertente anche la battuta più semplice. Il rapporto incredibilmente complesso e problematico tra madre e figlio è il cuore della serie, ed è imbarazzantemente divertente grazie all’inedita coppia formata da Asa Butterfield e la Anderson e alla loro complicità, in grado di ravvivare l’azione in numerose occasioni.

Quella di Sex Education è un’operazione concettualmente eccezionale, non solo per la capacità di trattare tematiche taboo con una naturalezza disarmante, ma anche per la capacità di utilizzare le strutture proprie del coming of age e del teen movie in maniera intelligente. Sex Education non si limita a rielaborare le maschere sociali della commedia romantica anni ’80, ma riprende anche le linee guida narrative di tutto quel filone cinematografico a cui ha dato vita nei decenni seguenti, il risultato è una serie in grado di utilizzare situazioni ricorrenti e note al grande pubblico per creare un sistema di coordinate nel quale il pubblico possa muoversi agevolmente. Insomma, se ogni tanto la serie va a parare esattamente dove ci si aspetta che vada, è perché quello è il modo migliore di veicolare contenuti pressoché nuovi senza rinunciare alla componente intrattenimento: attraverso strutture note e collaudate. Il coming of age è di per sé un sottogenere molto codificato, dove l’abilità dell’autore sta nel modo in cui strutture e tematiche ricorrenti vengono utilizzate, sfruttate e rielaborate per creare qualcosa di nuovo, e questo è esattamente ciò che Laurie Nunn fa molto bene. Sono le implicazioni e le conclusioni a cui queste modalità narrative conducono a cambiare e a rendere unico il risultato finale. Dopotutto era impensabile che un prodotto del genere non terminasse con un happy ending o che non fosse inserita una sottotrama amorosa per il protagonista ad un certo punto della storia, i prodotti di formazione come questo sono soliti giocare con le aspettative del pubblico nei confronti dei passaggi obbligati come questi e Sex Education non ha alcuna voglia di disattenderle. E va bene così. Utilizzare le strutture preesistenti non è un male di per sé, anzi, è usarle in modo svogliato che spesso rovina film e serie tv dal grande potenziale.
Otto episodi, tuttavia, sono decisamente troppo pochi per godere a pieno delle potenzialità di questa serie, perciò il nostro augurio è che venga presto rinnovata per una seconda stagione.

VOTO: 8/10