Di Massimo Vozza
L’attore, produttore e regista (nonché a volte anche sceneggiatore) George Clooney torna a indossare questa sua triplice veste per The Midnight Sky, dramma fantascientifico targato Netflix basato sul romanzo La distanza tra le stelle (Lily Brooks-Dalton, 2016). Se con il precedente Suburbicon volle mettere in pratica l’insegnamento tratto dal lavorare con i fratelli Coen, stavolta, raggiungendo similmente mediocri risultati, ha deciso di dirigere basandosi sull’esperienza accumulata recitando per Soderbergh nel film Solaris e soprattutto per Cuarón in Gravity.
Il racconto è quello dell’epopea dell’astronomo Augustine Lofthouse, rimasto solo con una misteriosa bambina sulla superficie terrestre in seguito a una serie di cataclismi che nel 2049 hanno reso invivibile la vita sul nostro pianeta, e, parallelamente, di quella dell’equipaggio della nave spaziale Aether, di ritorno sulla Terra dopo l’esperienza su un satellite di Giove con clima e atmosfera adatti alla vita umana. Dopo un avvio lento e volutamente poco chiaro, il film scorre rientrando in schemi precostituiti e mettendo in gioco tematiche non inedite alla fantascienza contemporanea: il prevedibile e il già visto ne fanno da padroni, al punto che non si riesce nemmeno a godere delle poche scene adrenaliniche presenti, una delle quali (quella nello spazio) totalmente un omaggio (o forse sarebbe meglio dire scopiazzata) alla scena della pioggia di detriti in Gravity.
La colpa però non è soltanto della scrittura: The Midnight Sky non riesce né a portare avanti egregiamente i due piani del racconto parallelamente (che diventano tre, se vi aggiungiamo i piatti flashback), né a proporre un’impostazione produttiva precisa, navigando così in un’eterna via di mezzo tra film fantascientifico votato all’intrattenimento (come ad esempio The Martian) e film dalle pretese autoriali, di atmosfera e contenuti piuttosto che d’azione (come ad esempio Arrival), mentre gli e le interpreti (tra cui, oltre al regista, Felicity Jones, David Oyelowo e Kyle Chandler) non hanno mai occasioni di emergere davvero; a mancare però sono anche una consapevolezza ed un’estrosità registica come quelle di Cuarón, come se il salire sulle spalle dell’ispirazione e del talento di altri cineasti potesse bastare a Clooney per portare a casa il lavoro in modo egregio: eppure non è così.