Un affare di famiglia – La recensione del film vincitore della Palma d’oro a Cannes 2018

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Di Simone Fabriziani

Dopo una delle loro sessioni di taccheggio, Osamu e il figlio si imbattono in una bambina lasciata al freddo. Seppur dapprima riluttante, la moglie di Osamu accetta di prendersene cura dopo avere appreso le difficoltà che la piccola deve affrontare. Sebbene la famiglia sia povera e guadagni solo lo stretto necessario per sopravvivere, tutti sono felici finché un incidente imprevisto porta alla luce segreti tenuti ben nascosti, mettendo alla prova ogni legame. Vincitore della prestigiosa Palma d’oro all’ultimo festival di Cannes, arriva nelle sale italiane Un affare di famiglia, scritto e diretto da Hirozaku Koreeda.
Il maestro contemporaneo del cinema giapponese continua nuovamente a trattare delle varie declinazione del concetto di famiglia attraverso la lente della società e della cultura orientale dopo i premiati successi di Father and Son (2013), Little Sister (2015) e Ritratto di famiglia con tempesta (2016). Se apparentemente il racconto di Una affare di famiglia sembra voler omaggiare la vita degli small time crooks di matrice dickensiana, dall’altra l’autore giapponese opera una ricalibratura del lessico famigliare ai tempi del Giappone odierno, qui ritratto abbassandosi con onestà intellettuale e sguardo neorealistico ai ceti in maggiore difficoltà.

Se l’arrivo improvviso della piccola Rin sconvolge gli equilibri della curiosa famiglia a sistema matriarcale, i segreti ingombranti della anziana nonna e della coppia di ladruncoli formata da Osamu e Hatsue saranno la pentola a pressione narrativa che ricalibrerà gli equilibri di una famiglia che, di legami sanguigni, non ha proprio nulla. Dopotutto, come rimarcano spesso i protagonisti del commovente ritratto cinematografico di Koreeda, una famiglia la si sceglie per chiamarla tale.

Il linguaggio asciutto e privo di fronzoli cinematografici del modus operandi di Hiroaku Korreeda qui ben si sposano con il doppio binario su cui camminano le rotaie del racconto di Un affare di famiglia: da una parte affresco neorealista di un moderno Oliver Twist in salsa orientale, dall’altra spietata ed umanissima invettiva contro i dislivelli economici di una società, quella odierna giapponese, stratificata in benessere contrapposto a recessione, a ricchezza e povertà. Brutti, sporchi e cattivi di scoliana memoria? Si, ma con il cuore di una maternità (o paternità) qui fortemente anelate con vibrante commozione.


VOTO: 8/10


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