Venezia 75: Suspiria – La recensione del remake di Luca Guadagnino con Tilda Swinton e Dakota Johnson

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Di Massimo Vozza

Alla sua quarta giornata, la Settantacinquesima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia presenta uno dei progetti più curiosi e rischiosi dell’anno. Dimenticate tutto quello che sapete su Suspiria di Dario Argento, perché il remake firmato da Luca Guadagnino è un’esperienza estremamente diversa: a parte qualche omaggio sporadico al maestro dell’horror, quest’opera è a pieno titolo proprietà del cineasta palermitano.

La sinossi, tratta dalla sceneggiatura dall’originale, è essenzialmente la medesima: Susie (Dakota Johnson) è una ballerina americana che arriva in Germania per entrare nella compagnia di danza Markos Tanz Company; presto entrerà nelle grazie di Madame Blanc (Tilda Swinton) che la aiuterà a perfezionarsi. L’accademia però nasconde dei segreti legati al mondo esoterico che sono la causa della scomparsa di alcune allieve. Ma la sceneggiatura di David Kajganich (A Bigger Splash) non si ferma a questo: gli elementi in campo diventano molteplici, dalla maternità alla creatività, e, di non poco conto, viene aggiunta una storyline totalmente nuova che ha per protagonista l’unico uomo (interpretato dallo sconosciuto Lutz Ebersdorf) dello svariato cast femminile. La carne al fuoco alla fine è tanta, ma Guadagnino riesce a gestirla piuttosto bene nonostante qualche passaggio troppo superficiale. L’interesse però non si concentra solo sulla narrazione ma anche sul preciso momento storico: la Berlino del Settantasette di Guadagnino è una città spaccata, in tumulto, dove l’ombra del Terzo Reich incombe ancora oscura.

La più evidente differenza con il film di Argento deriva proprio da questo: le atmosfere da favola, con il Technicolor e la foresta, vengono sostituite da una Germania grigia, cosmopolita e colpita. Come la scenografa ha trasformato l’hotel in stile liberty nell’accademia art déco che vediamo nel film, così Luca Guadagnino gioca con ogni elemento della versione di Argento.
Più che un vero e proprio horror e/o splatter, il regista costruisce il suo film sulla tensione e l’angoscia che derivano sia dagli elementi reali che da quelli sovrannaturali, grazie all’ausilio della fotografia, del montaggio (ancora una volta di Walter Fasano) e del suono, dove il sospiro dato dall’affaticamento, dal dolore, dalla morte, ne fa da padrone. Le scene di esplicita violenza inoltre sono poche ma sono anche le più esaltanti dal punto di vista cinematografico, e proprio per questo sarebbe stato bello vederne di più. La recitazione è eterea e inquietante al tempo stesso: a parte l’ottima Swinton, spicca anche Chloë Grace Moretz nella scena iniziale e convince abbastanza un’inedita Dakota Johnson. Altra protagonista è la musica: la colonna sonora di Thom Yorke non è ingombrante come quella dei Goblin ma si incastra perfettamente nell’atmosfera creata dal cineasta.
Quindi sì, è Suspiria ma allo stesso tempo non lo è; siamo davanti a un film che è un omaggio ad Argento ma anche al proprio cinema; è Guadagnino che finge di essere qualcun altro pur restando se stesso, ed è bello e giusto proprio perché così.
VOTO: 8/10



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