Venezia 76: La mafia non è più quella di una volta – La recensione del documentario satirico di Franco Maresco

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Di Daniele Ambrosini

Franco Maresco torna sul grande schermo con La mafia non è più quella di una volta, un documentario che riparte laddove si era fermato Belluscone – Una storia siciliana, di cui è considerabile una continuazione. Se il film del 2014 utilizzava la figura di Silvio Berlusconi ed i suoi trascorsi con la mafia come scusa per riflettere sul rapporto tra la popolazione palermitana e la politica contemporanea, e viceversa, in questa sua nuova opera Maresco affronta direttamente la questione del rapporto tra la popolazione locale e la mafia, o meglio della percezione di quest’ultima  in territorio siciliano.
L’occasione per affrontare la tematica è data dal venticinquesimo anniversario dagli omicidi di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. L’anno è il 2017 e Maresco torna a Palermo per testare gli umori popolari sulla ricorrenza, ottenendo solamente risposte cariche di disprezzo o indifferenza nei confronti dei due giudici, e per assistere alle varie manifestazioni in loro onore che si svolgono nella città. Ad accompagnarlo c’è la fotografa e politica Letizia Battaglia, che resta sconvolta dalla leggerezza delle manifestazioni, che sembrano quasi delle feste con tanto di musica. “Ai miei tempi piangevamo, non ballavamo per le strade“, ricorda. Ma tra tutte le manifestazioni ce n’è una in particolare che attira la loro attenzione, quella organizzata nella zona più pericolosa della città da Ciccio Mira, l’ex sindaco e organizzatore di concerti neomelodici protagonista di Belluscone, in passato finito in prigione proprio per colpa dei suoi collegamenti con cosa nostra. 
Nel DNA di Belluscone c’era una vena anarchica, una certa schizofrenia narrativa che lo portava a saltellare da un argomento all’altro, da Berlusconi, alla trattativa Stato-mafia, dal rapporto tra la politica e la popolazione locale, al rapporto tra musica neomelodica e boss mafiosi, arrivando persino ad incorporare una sottotrama metacinematografica sulle difficoltà della realizzazione del film che vedeva il regista “perso”. Per quanto affascinante il prodotto finito fosse, questa follia ragionata rischiava continuamente di portare il film fuoristrada, cosa che poi non è avvenuta, ma che qua e là ha comunque depotenziato il film. La mafia non è più quella di una volta, invece, adotta una struttura narrativa più solida, più lineare, in grado di mantenere il gusto digressivo dell’opera precedente, ma di incorporarlo all’interno di un racconto coerente con un inizio, uno sviluppo ed una conclusione, un racconto più ordinato in cui ogni elemento è esattamente al suo posto.
Mantenendo un’occhio cinico e sprezzante, Maresco decide di affrontare questo nuovo viaggio insieme a Letizia Battaglia, una controparte più efficace di quanto non fosse Tatti Sanguinetti, in quanto voce critica sugli argomenti narrati nel film, a volte persino in disaccordo con l’approccio adottato da Maresco. E poi c’è Ciccio Mira, personaggio assurdo e paradossale che nonostante sia tra i promotori di una manifestazioni in ricordo di Falcone e Borsellino si rifiuta di dire “No alla mafia” perché “non lo può dire”, che però si sente di dare un consiglio ai giovani “Non avvicinatevi alla mafia, perché non è più quella di una volta“. Tradito da un’entità che ha fatto della parola “onore” la sua colonna portante, Mira è vittima del clima di omertà che lui stesso alimenta e non è in grado di cogliere la contraddizione implicita nelle sue azioni e nel suo pensiero, così Maresco lo prende ad esempio. La sua idea è quella di mettere su uno spettacolo su Falcone e Borsellino dove i due vengano celebrati come eroi per aver “costruito parchi e portato l’illuminazione pubblica”, ma quando Maresco gli ricorda il loro ruolo nel combattere la mafia, l’imprenditore va in modalità difensiva,, quelle cose non lo interessano, dice, a lui piacciono tutti, mafiosi e non, e può organizzare feste sia per celebrare i due giudici che per celebrare i boss, dopotutto cosa c’è di male? Eh, cosa c’è di male? Maresco una risposta ce l’ha e la espone con una dose abbondante di selvaggia ironia. 
La mafia non è più quella di una volta è un film intelligente, in grado di affrontare con un tono leggero un argomento francamente difficile da approcciare con leggerezza. Non è un documentario di sola osservazione questo, anzi tutt’altro, è un film con una posizione ideologica di base molto forte che influenza il modo in cui lo spettatore guarda i soggetti ritratti, un film in cui il regista è una figura onnipresente à la Michael Moore e che si fa critico delle vicende narrate, tuttavia non giunge mai a conclusioni facili o preconcette, ma rielabora in base a ciò che ha avuto modo di osservare, invitando lo spettatore a fare altrettanto. Resta intatto lo sguardo cinico ma mai cattivo del regista palermitano e il suo gusto della digressione narrativa, che è la sua arma fondamentale per conferire ritmo al film. Molto interessante sotto questo punto di vista la parentesi sui rapporti tra Ciccio Mira e Sergio Mattarella, che lui giura di conoscere e che ricorda essere un frequentatore assiduo del cinema gestito dalla sua famiglia. Guardava quelli che Mira definisce “film difficili, pesanti“, in particolare gli piaceva “Inghimar Bermar“, che crede essere un regista arabo.

Maresco è un narratore consapevole, che sa come fare satira in modo efficace, ma sa anche come si racconta una storia e come si delinea un personaggio, per quanto assurdo e sgradevole possa essere. Il suo ritratto di Ciccio Mira è impetuoso ma affascinante, tanto da spingerci a desiderare un terzo film con lui, magari basato sul ruolo dell’arte, della musica, della fotografia, del cinema, nella cultura popolare e sulla relazione che questa ha con la politica, argomento che qui emerge qua e là ma non diventa mai centrale.

VOTO: 8/10