Venezia 76: Sull’infinito – La recensione del nuovo film di Roy Andersson

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Di Simone Fabriziani

Una soave voce femminile racconta storie di diverse umanità. Attraverso una serie di momenti apparentemente banali, si riflette sullo splendore della vita, sulla sua grandezza, sulla sua crudeltà e sulla sua banalità.  Situazioni insignificanti assumono così la stessa importanza di significativi eventi storici: una coppia fluttua sulla città di Colonia devastata dalla guerra; sulla strada per una festa di compleanno, un padre si ferma a legare i lacci delle scarpe della figlia sotto la pioggia battente; ragazze adolescenti ballano fuori da un bar; un esercito sconfitto marcia verso un campo di prigionia. Questo è Sull’infinito  del regista e sceneggiatore svedese Roy Andersson, già Leone d’Oro 2014 per Un piccione seduto su un ramo riflette sull’esistenza.

In concorso alla 76° Mostra d’Arte Cinematografica di Venezia, Sull’infinito è il ritorno dietro la macchina da presa di uno dei maestri del cinema scandinavo contemporaneo alla riflessione esistenzialista più radicale, quella più essenziale, ridotta praticamente all’osso anche dal punto di vista del linguaggio cinematografico. Come per l’acclamato Piccione, anche About Endlessness è una serie di vignette dalla durata medio-breve sulla bellezza dell’essere vivi: dagli imprevisti più ironici a imponenti crisi di fede, Andersson riveste il suo brevissimo lungometraggio (76 minuti, il più corto dei film in concorso a Venezia 76) di ritratti di vita quotidiana fissi, ieratici, dove la macchina da presa è obbligata a non fare alcun passo, a non fare movimenti. Un occhio invisibile dalla suadente voce di donna (non più un uccellino appollaiato su un ramo, ma tant’è) che scruta con indifferenza e clinicità le contraddizione bellissime e allo stesso tempo dolore dello stare al mondo.
Roy Andersson non aggiunge nulla di nuovo alla sua precedente avventura cinematografica in divertenti e surreali vignette che gli ha regalato il plauso internazionale e il Leone d’Oro a Venezia 71, anzi sembra quasi che il suo Sull’infinito sia una reiterazione di temi e linguaggi già affrontati nella pellicola precedente, un ideale long cut che, pur preservando intatta la magia dell’esistenzialismo ieratico e a tratti pittorico del cineasta svedese, riporta lo spettatore ad un antipatico senso di deja vu che potrebbe compromettere About Endlessness dal portare a casa qualche riconoscimento importante a Venezia 76.
VOTO: 6/10


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